Così l’Eurotower raddoppia, in attesa dei politici

Così l’Eurotower raddoppia, in attesa dei politici

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CERNOBBIO — D’accordo, il piano Draghi da solo non basta, non può bastare per rilanciare la crescita. Si può argomentare, si può eccepire, ma non c’è dubbio alcuno che da qui si debba partire. Come fanno, appunto, i banchieri, gli imprenditori e gli economisti riuniti a Cernobbio per il seminario organizzato da The European house-Ambrosetti.
Le simulazioni tecniche allo studio, come quella rivelata ieri dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung , disegnano il contorno di un’operazione colossale: la Bce potrebbe acquistare titoli per mille miliardi di euro e dare al tasso di inflazione una spinta stimata tra gli 0,2 e gli 0,8 punti percentuali. Mille miliardi: la stessa cifra che l’istituto di Francoforte ha prestato alle banche europee negli ultimi tre anni, con risultati quasi nulli sull’economia reale dei Paesi più in difficoltà (e l’Italia è tra questi).
Aspettando i governi (o forse le elezioni europee), Mario Draghi resta comunque l’epicentro della politica economica della zona euro. Prezzi troppo bassi si traducono in mancati ricavi per le imprese e quindi in meno investimenti, meno assunzioni. «Mi spiace, ma ora i giapponesi siete voi», dice Richard Koo, capo economista del centro studi della finanziaria nipponica Nomura.
La sua collega Lucrezia Reichlin, nella discussione a porte chiuse, mostra una tabella che sembra irridente: nell’ultimo anno la Bce ha sistematicamente sopravvalutato il tasso di inflazione, immaginandolo all’1,5% quando era di poco superiore allo 0,7%, o all’1%, ultima previsione riferita a marzo 2014, quando invece ristagna allo 0,5%.
Non c’è niente di più imperfetto e opinabile di una previsione economica, concede Lucrezia Reichlin. Specie ora che sono in gioco, forse, mille miliardi di euro.
Ma prima di diventare operativo lo schema Draghi dovrà superare qualche passaggio complicato. Il compito centrale della Bce è quello di contenere l’inflazione: l’obiettivo è quello del 2%. Il traguardo di medio termine, da qui al 2016, è fissato all’1,5%. Traguardo realistico? Il board di Francoforte ufficialmente comincia a dubitarne. Ma ufficiosamente è convinto che consumi così deboli non siano in grado di trainare i prezzi a quel livello. Tagliare ancora il tasso di interesse non sarebbe sufficiente (è già allo 0,25%); i prestiti alle banche non sono serviti. E allora non resta che tentare con il «quantitative easing», che non sono altro che le vecchie operazioni di mercato aperto adottate fin dagli anni Trenta negli Stati Uniti. La Bce compra sul mercato secondario titoli parcheggiati nel portafoglio delle banche, ritirando carta in cambio di moneta e sperando che questa passi poi dal circuito finanziario alle imprese, alle famiglie. Sì, ma quali titoli? I bond di Stato, quelli italiani, spagnoli, greci? Oppure obbligazioni emesse dai privati, come banche, aziende? Chi decide? Ancora una volta Draghi dovrà convincere il tedesco Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, consigliere Bce e interprete tra i più qualificati della dottrina Merkel (rigore e austerità). E così rapidamente traslochiamo dal regno delle tabelle in quello dei rapporti di forza. Weidmann ha offerto quella che viene considerata dai collaboratori di Draghi niente più che una generica apertura. Il confronto comincia ora e la conclusione è aperta. C’è chi ritiene che alla fine la Bce non comprerà titoli pubblici; oppure sì, lo farà, ma ripartendo gli acquisti tra i Paesi, in base alle quote detenute nel capitale sociale. La Germania possiede il 20% dell’istituto di Francoforte; la Francia il 14%; la Grecia l’1,8%, l’Italia il 12%. Ora: la zona euro ha bisogno di una manovra che faccia piovere il 37% della nuova liquidità nei Paesi più forti (Germania, Francia e Olanda) e solo il 21-22% nei più deboli (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia)? Dal punto di vista economico il “no” è scontato. Ma, ormai lo abbiamo imparato, la politica in Europa spesso segue altre logiche.
Il mondo delle imprese, visto da Cernobbio, sembra un campo di girasoli che si protende verso qualsiasi fonte di energia, di risorse. Il televoto tra gli imprenditori segnala che il 51,2% prevede di aumentare il fatturato nel 2014 almeno fino al 10%, anche se il sondaggio dell’«Ambrosetti club economic indicator» avverte che le prospettive sull’occupazione restano negative.
Giuseppe Sarcina


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