Deriva autoritaria

Deriva autoritaria

Loading

Che il nostro paese sia messo su una china autoritaria lo prova non solo il con­te­nuto delle riforme isti­tu­zio­nali pro­po­ste dal governo Renzi e appro­vate in Con­si­glio dei mini­stri. Su que­ste valga non solo l’appello lan­ciato da Zagre­bel­sky e Rodotà, ma anche le osser­va­zioni e le riserve di tanti com­men­ta­tori, per­fino di espo­nenti e set­tori mode­rati della vita poli­tica ita­liana. Quel che indica il senso di mar­cia, la dire­zione dei venti domi­nanti è il favore popo­lare di cui gode al momento l’iniziativa del governo, il con­senso aperto della grande stampa, come Repub­blica (ad ecce­zione del suo fon­da­tore), l’ibrido e poli­ti­ca­mente indi­stinto coro di appro­va­zione che sale dai vari angoli del paese. E, segno dei tempi non poco signi­fi­ca­tivo, è il con­certo di voci ostili, la con­danna cor­riva, il lin­guag­gio sca­dente fino a essere scur­rile con­tro i cri­tici del pro­getto di riforme. Costoro ven­gono bol­lati come par­ruc­coni, defi­niti — con una seman­tica della deri­sione che capo­volge il signi­fi­cato delle parole — «soliti intel­let­tuali», quasi fos­sero la banda de I soliti ignoti del film di Moni­celli. È già acca­duto che in momenti tri­sti e dif­fi­cili della vita nazio­nale l’intelligenza sia stata derisa.

Certo, que­sto favore con­fuso e indi­stinto che sof­fia nelle vele di Mat­teo Renzi, non è solo il risul­tato dell’abilità comu­ni­ca­tiva del nostro pre­si­dente del Con­si­glio. A reg­gere il suo atteg­gia­mento oggi aper­ta­mente ricat­ta­to­rio c’è, come ha scritto Norma Ran­geri su que­sto gior­nale (1/4) «la forza d’urto dei fal­li­menti della classe diri­gente, a comin­ciare da quelle forze inter­me­die, par­titi e sin­da­cati, che si rife­ri­scono alla sini­stra». Come negarlo? Quali sono state le idee, le pro­po­ste, le ini­zia­tive mobi­li­tanti che son venute dal Pd in que­sti ultimi anni, così dram­ma­tici per tanti cit­ta­dini ita­liani? Nulla che non fosse l’applicazione dei det­tami della poli­tica di auste­rità impo­sta dalla Ue, sia dall’opposizione (ultimo governo Ber­lu­sconi) sia nel governo Monti e non diver­sa­mente nel governo Letta. E qual­cuno ha udito, in que­sti ultimi 4 anni di disoc­cu­pa­zione dila­gante, una, una sola idea, una qual­che ini­zia­tiva all’altezza dei tempi, venir fuori dalla Cgil di Susanna Camusso? Il più opaco e impie­ga­ti­zio tran tran tran quo­ti­diano ha scan­dito la vita del mag­giore sin­da­cato ita­liano nel corso di una della pagine social­mente più dram­ma­ti­che nella sto­ria della repubblica.

Si capi­sce, dun­que, il favore, l’impazienza, la fretta, con cui tanta parte del paese guarda al «fare» di Renzi. Dopo tanta iner­zia e incon­clu­denza (ma anche, dovremmo ricor­dare, dopo tante scelte fero­ce­mente anti­po­po­lari) final­mente qual­cuno che passa all’azione. Qua­lun­que essa sia.

Un’altra e più vasta cor­rente sot­ter­ra­nea ali­menta gli spi­riti ani­mali del pre­sente «deci­sio­ni­smo». È la cre­scente velo­cità con cui il capi­ta­li­smo si muove sulla scena mon­diale. È la rapi­dità delle deci­sioni e delle scelte, di inve­sti­menti, di spe­cu­la­zioni con cui mul­ti­na­zio­nali e gruppi finan­ziari spo­stano for­tune da un capo all’altro del mondo, con­di­zio­nando la vita degli stati. È una nuova dimen­sione tem­po­rale (e spa­ziale) dell’economia che spiazza le anti­che cro­no­lo­gie della poli­tica. Di fronte alla cele­rità degli scambi, degli accordi com­mer­ciali, della mano­vre finan­zia­rie, pro­pria del capi­ta­li­smo attuale, la poli­tica appare, nelle sue più con­na­tu­rate forme, come lenta, dila­to­ria, incon­clu­dente. E la demo­cra­zia, che è dia­logo, discus­sione, pon­de­ra­zione delle scelte, ascolto delle diverse voci, pro­ce­dura for­male, appare un rituale vec­chio e obso­leto, inca­pace di rica­dute posi­tive sulla vita dei cit­ta­dini. E qui sta il nodo su cui occorre riflettere.

È vero, ci sono rituali nella vita par­la­men­tare ita­liana che oggi non sono più accet­ta­bili e occor­re­rebbe dare all’intera mac­china legi­sla­tiva una mag­giore snel­lezza ed effi­cienza. Qui la sini­stra dovrebbe mostrare mag­giore con­vin­zione e ori­gi­na­lità di pro­po­sta. Ma occorre avere sguardo sto­rico per capire il nodo che ci si para davanti, per non repli­care gli errori che ci hanno por­tato alla situa­zione pre­sente. La poli­tica appare lenta e inef­fi­ciente soprat­tutto per­ché essa, per pro­pria scelta, negli ultimi 30 anni ha ceduto mol­tis­simi dei suoi poteri all’economia capitalistico-finanziaria. Dalla That­cher a Rea­gan, da Clin­ton a Mit­te­rand per arri­vare ai nostri vari governi, essa si è pri­vata di tanti con­trolli sulle ban­che, sui movi­menti dei capi­tali, sui vari stru­menti della poli­tica eco­no­mica. Al tempo stesso, e con­se­guen­te­mente, ha inde­bo­lito i suoi tra­di­zio­nali legami con le masse popo­lari, ponen­dosi così in una con­di­zione di subal­ter­nità pro­gres­siva nei con­fronti del potere eco­no­mico. E’ la poli­tica che ha favo­rito il disfre­na­mento della potenza ano­nima del mer­cato. Ciò che oggi appare come una con­di­zione data, quasi natu­rale, spin­gendo i com­men­ta­tori odierni ad accet­tarla come uno stato ine­lu­di­bile, un prin­ci­pio di realtà, è di fatto il risul­tato di una scelta di un’autolimitazione della sovra­nità sta­tuale. Anche auto­re­voli osser­va­tori oggi ricor­rono alla parola magica glo­ba­liz­za­zione, come se si rife­ris­sero alla sic­cità o al mal­tempo. Ma un più sor­ve­gliato uso delle parole con­si­glie­rebbe il ricorso a un altro ter­mine, ora fuori moda: dere­gu­la­tion. Per­ché que­sta glo­ba­liz­za­zione non è che una forma mon­diale di domi­nio, pri­vato di molti freni e regole da parte dei governi nazio­nali. Non è — come si vor­rebbe far cre­dere — il nor­male avan­zare della sto­ria del mondo.

L’attuale impo­tenza dei governi, la loro inca­pa­cità di met­tere sotto con­trollo le ini­zia­tive delle potenze infer­nali lasciate libere di con­di­zio­nare la vita delle nazioni, li spinge a restrin­gere il campo del comando, a con­cen­trarsi sulla mac­china pub­blica, sull’efficienza e la rapi­dità delle deci­sioni. E’ la sur­ro­ga­zione di un potere per­duto, che cerca un risar­ci­mento limi­tando gli spazi della demo­cra­zia, strap­pando mar­gini di mano­vra alla rap­pre­sen­tanza, restrin­gendo il pro­ta­go­ni­smo delle masse popo­lari. E cosi ripro­du­cendo le cause sto­ri­che della pro­pria subalternità.

Ma la china auto­ri­ta­ria del governo Renzi si coglie appieno non solo met­tendo assieme la riforma elet­to­rale con la pro­po­sta di raf­for­za­mento della figura del pre­mier e l’abolizione del Senato. Anche il Jobs act rien­tra in piena coe­renza con la ten­denza. Nel momento in cui non si rie­sce a otte­nere da Bru­xel­les il via libera a una poli­tica eco­no­mica espan­siva, si ricalca con pro­terva osti­na­zione il vec­chio sen­tiero. Non si punta su inve­sti­menti e sul ruolo deci­sivo che il potere pub­blico potrebbe svol­gere in una fase di depres­sione, ma si cerca di far leva sulla piena dispo­ni­bi­lità della forza lavoro alle con­ve­nienze delle imprese. È la poli­tica fal­li­men­tare degli ultimi decenni. Essa ha creato lavoro sem­pre più pre­ca­rio, gene­rato bassi salari, inde­bo­lito la domanda interna, spinto gli impren­di­tori a con­tare sullo sfrut­ta­mento della forza lavoro più che sull’innovazione, con­tri­buito a ingi­gan­tire la scala della sovrap­pro­du­zione capi­ta­li­stica mon­diale alla base della crisi di que­sti anni. Gli oltre 3 milioni di disoc­cu­pati appena cen­siti dall’Istat sono il seguito natu­rale di tale sto­ria, nazio­nale e mondiale.

In Ita­lia que­sta via con­tri­buirà ad allar­gare l’area del “sot­to­mondo” in cui vivono ormai milioni di per­sone, con lavori sal­tuari e mal pagati, privi di cer­tezze, di iden­tità e di spe­ranze: uno solco ancor più pro­fondo fra società e ceto poli­tico. Quando, tra meno di due anni, occor­rerà togliere dal bilan­cio pub­blico intorno ai 40–50 miliardi di euro all’anno per ono­rare il rien­tro dal debito, come vuole il fiscal com­pact, occor­rerà aver pronto uno stato forte per con­trol­lare l’esplosione di con­flitti che seguirà alla distru­zione defi­ni­tiva del nostro wel­fare. Come si fa a non vedere già oggi la cur­va­tura auto­ri­ta­ria che sta pren­dendo il nostro Stato?


Tags assigned to this article:
governo RenziJobs Act

Related Articles

Il piano dei tagli e quei debiti fuori bilancio dei ministeri

Loading

ROMA — Altri 500 milioni spariti, un attimo dopo essere stati stanziati. E non bastano ancora. A quanto ammontino veramente i debiti fuori bilancio dei ministeri, impegni di spesa, onorari e fatture di cui non c’è la minima traccia nella contabilità pubblica, ancora nessuno lo sa. Ogni anno ne salta fuori qualcuno nuovo.

Interdizione, il 19 ottobre il «ricalcolo» di Milano

Loading

Agrama e le tesi sulle carte svizzere Ma per il produttore oltreconfine sequestro di 130 milioni di dollari

Un 12 dicembre che vale doppio

Loading

Milano. Il primo sciopero generale nel giorno dell’anniversario della strage di piazza Fontana trasforma la città in un laboratorio di azioni e reazioni contro il governo Renzi. Cinquantamila in piazza con la Cgil, studenti come sempre manganellati dalla polizia e commemorazione della strage con Susanna Camusso in testa al corteo. E oggi pomeriggio di nuovo in manifestazione contro il razzismo e il fascismo di ieri e di oggi (appuntamento alle 15 in piazza XXIV Maggio)

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment