Droni. L’ipocrisia umanitaria del complesso militare-digitale

by redazione | 1 Aprile 2014 9:59

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Le due pagine che aprono il volume di Gré­goire Cha­mayou hanno un valore espo­si­tivo del tema che lo stu­dioso fran­cese affronta in que­sto Teo­ria del drone (Deri­veAp­prodi). Si tratta della con­ver­sa­zione tra alcuni mili­tari di stanza in Nevada sull’azione che un drone da rico­gni­zione e di alcuni eli­cot­teri Apa­che com­piono a oltre undi­ci­mila chi­lo­me­tri di distanza. Il tea­tro di guerra è l’Afghanistan, i mili­tari che par­lano stanno invece in una ano­nima stanza piena di com­pu­ter e video nella base che coor­dina le azioni dei droni in giro per il mondo. Sono loro che deci­dono se far fuoco sugli uomini e le donne che com­pa­iono sugli schermi. Deci­dono cioè se una piog­gia di fuoco sia la rispo­sta giu­sta in una situa­zione che imma­gi­nano popo­lata da com­bat­tenti irre­go­lari o «insor­genti». La loro deci­sione com­por­terà vit­time civili, effetti col­la­te­rali di una guerra che gli Stati Uniti vogliono con­durre, e con­du­cono, senza met­tere a rischio la vita dei marine del Win­scon­sin o del Texas.

I droni sono infatti il sistema di intel­li­gence e di arma che hanno visto un impiego mas­sic­cio in Afgha­ni­stan o nelle regioni del Paki­stan al con­fine del paese scelto dagli Stati Uniti come il covo del ter­ro­ri­smo isla­mico e dun­que da inva­dere, evi­tando però che sugli schermi tele­vi­sivi ame­ri­cani scor­rano le imma­gini del ritorno dei corpi dei sol­dati ame­ri­cani avvolti in sac­chi di pla­stica. Ma i droni costi­tui­scono anche un insieme di para­dossi etici, poli­tici che li ren­dono, alla lunga con­tro­pro­du­centi. Pos­sono pure evi­tare morti sta­tu­ni­tensi, ma con­se­gnano la popo­la­zione col­pita da que­sti spe­cie di aerei o mis­sili tele­co­man­dati agli insorti. Mici­diali in guerra, ma poli­ti­ca­mente letali, alla lunga, per chi li usa.

Nel libro di Cha­mayou ci sono inol­tre pagine molto inte­res­santi sul fatto che i droni sono il sim­bolo di un sistema indu­striale– digi­tale che si è costi­tuito in que­sti anni e che sta pren­dendo il posto del suo ante­nato, quel sistema militare-industriale che scan­da­lizzò, negli anni Cin­quanta, filo­sofi, paci­fi­sti e il pre­si­dente Ike Eise­n­ho­wer , che lo stig­ma­tizzò, poco prima di morire, come il mag­giore peri­colo che le demo­cra­zia occi­den­tali dove­vano fron­teg­giare negli anni a seguire.

L’attuale cyber­war­fare vede l’entrata sul campo di bat­ta­glia un nuovo pro­ta­go­ni­sta. Si tratta di un sistema inte­grato di satel­liti, reti in fibra ottica, video, algo­ritmi che hanno come appen­dice un uomo che passa ore e ore a stare davanti a uno schermo in attesa di una imma­gine o di una infor­ma­zione che può costi­tuire un «dato sen­si­bile» che fa scat­tare il cam­pa­nello d’allarme. Lo for­ni­scono imprese lau­ta­mente finan­ziate dal Pen­ta­gono, ma anche inso­spet­ta­bili cam­pus uni­ver­si­tari, soft­ware house spe­cia­liz­zate nell’elaborazione di Big Data. Il drone è, in altri ter­mini, una delle rea­liz­za­zioni della net-economy. Le sue ori­gini stanno certo nell’impetuoso tor­rente di finan­zia­menti che il Pen­ta­gono e altre agen­zie fede­rali sta­tu­ni­tensi hanno dagli anni Ses­santa ai giorni nostri per svi­lup­pare il set­tore della com­pu­ter science. Non è dun­que un azzardo affer­mare che i droni sono nati nella Sili­con Val­ley e che l’economia del digi­tale ha un forte e indis­so­lu­bile legale con i mili­tari a stelle a strisce.

Nella Teo­ria del drone sono cen­trali altri temi – ne parla in que­sta pagina Marco Bascetta – ma il fatto che le moderne guerre vedano una pre­senza mas­sic­cia del digi­tale non è da sot­to­va­lu­tare. Anzi, il digi­tale è dive­nuta una risorsa stra­te­gica nel rior­ga­niz­zare gli eser­citi di mezzo mondo. Da una parte, le guerre segna­lata sulle mappe del pia­neta terra sono quasi sem­pre guerre asim­me­tri­che. Da una parte eser­citi iper­tec­no­lo­gici, dall’altra «com­bat­tenti irre­go­lari» poveri di mezzi, ma che pro­vano a tra­sfor­mare la dispa­rità dei sistemi d’arma e di intel­li­gence in loro punti di forza. In primo luogo la loro capa­cità di avere un forte inse­dia­mento nella popo­la­zione. Que­sto signi­fica con­senso e pos­si­bi­lità di sup­porto logi­stico che le truppe tec­no­lo­gi­che, con­si­de­rate dai civili inva­sori o ostili, non potreb­bero certo avere. Inol­tre, l’accesso alla Rete è pre­ro­ga­tiva anche degli «insorti». Signi­fi­ca­tivo è a que­sto pro­po­sito quanto scrive Cha­mayou nel libro, quando illu­stra i sistemi di disturbo messi in campo per far fal­lire le azioni dei droni di rile­va­zione delle infor­ma­zioni e di com­bat­ti­mento. Mar­chin­ge­gni che pos­sono costare poche cen­ti­naia di dol­lari: una baz­ze­cola rispetto alle cen­ti­naia di milioni di dol­lari che ser­vono a costruire un drone. L’autore afferma che tali sistemi di disturbo sono effi­caci e che hanno rap­pre­sen­tato un pro­blema per l’esercito americano.

Infine, c’è l’aspetto che l’autore non affronta, ma che sta diven­tando cen­trale nello svi­luppo del cyber­war fare. I rap­porti sem­pre più stretti tra i sistemi di intel­li­gence e mili­tari e le imprese dei Big Data, com­prese quelle rispet­ta­bi­lis­sime come Goo­gle, Micro­soft, Apple, Face­book. L’affaire delle inter­cet­ta­zioni del Natio­nal Secu­rity Agency non è solo da inqua­drare nella vio­la­zione della pri­vacy e dei rischi della demo­cra­zia – aspetti di per sé molto rile­vanti – ma anche nel fatto che quelle infor­ma­zioni rac­colte gra­zie anche a que­ste imprese sono dati, imma­gini e scree­ning del pano­rama sociale che sono tra­sfor­mati dagli anno­iati sol­dati di fronte al video ele­menti che com­pon­gono il Big Data da usare per atti­vare droni da com­bat­ti­mento. E poco importa se il mis­sile lan­ciato uccida solo un bam­bino che sven­to­lava uno strac­cio per segna­lare che è solo un ragazzo che nulla a che fare con la guerra. Le sue mem­bra disperse nel deserto afghano sono solo un «tra­scu­ra­bile effetto col­la­te­rale» del sistema militare-digitale.

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