La guerra fredda dei carri armati russi

La guerra fredda dei carri armati russi

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ABBIAMO speso vent’anni a cercare di convincere gli europei dell’Est che erano paranoici, che vivevano nel passato, che dovevano trattare la Russia come un paese normale, e ora scopriamo che avevano ragione loro», ha detto un esperto britannico di studi strategici al ‘Financial Times’.
HA SINTETIZZATO così la frustrazione dei tecnici militari e l’insipienza dei politici di fronte al «big freeze», la grande gelata, come lo ha chiamato l’ammiraglio James Stavridis, comandante supremo della Nato fino a poco tempo fa.
Ma nulla dà più senso concreto e palpabile alle «paranoie» degli ex sudditi dell’Urss — le repubbliche baltiche o paesi satelliti come la Polonia — delle immagini riprese dal satellite della Digital Globe, che mostrano lo schieramento dei carri armati e dei mezzi militari russi alla frontiera con l’Ucraina. Immagini che hanno subito scatenato una campagna di propaganda, e di contro propaganda, tra il Cremlino e la Nato, come succedeva proprio ai «bei vecchi tempi» della guerra fredda. Sono autentiche e attuali, dice la Nato, e mostrano uno schieramento di mezzi «al massimo delle sue capacità», sostiene il generale inglese Gary Deakin. No, sono vecchie immagini di repertorio, risalgono a esercitazioni dell’agosto 2013, ribatte un alto funzionario dello stato maggiore di Mosca alle domande dell’agenzia Ria Novosti. La cui guida è stata affidata da poco tempo a Dmitrij Kiseliov, un ex (e peraltro popolarissimo) commentatore televisivo, noto per le sue tirate scioviniste contro l’Unione
Europea e contro gli ebrei.
Insieme con il «big freeze» è tornata anche la mitica «disinformatsija» dei tempi sovietici. Del resto, come dare torto a polacchi, lituani, estoni, lettoni (oltre che agli stessi ucraini non filo-russi, naturalmente), i quali sono voluti entrare nella Nato perché, come avrebbe detto Berlinguer nella famosa dichiarazione del 1976, documentata per gli smemorati nel film di Walter Veltroni, si sentono «più sicuri di qua che di là» (Berlinguer intendeva, allora, di qua e di là della cortina di ferro)? Come dare loro torto, appunto, se a chi è cresciuto e ha poi vissuto la professione di reporter in piena guerra fredda queste immagini di tank in bianconero riprese da un satellite ricordano inevitabilmente momenti altamente drammatici di un’epoca che sembrava finita per sempre?
Il minaccioso schieramento dei tank sovietici ai confini con l’Ungheria prima dell’invasione del 1956, ad esempio. O la costruzione del Muro di Berlino nell’agosto del 1961, immagine cult per materializzare quella retorica di Winston Churchill, che molti anni prima parlando al Westminster College di Fulton (Missouri) aveva coniato l’espressione «cortina di ferro». O, ancora, i 40 ordigni nucleari schierati da Krusciov a Cuba nel 1962. O, elencando in ordine cronologico, l’invasione «fraterna» dei carri del Patto di Varsavia a Praga nel 1968 per stroncare la Primavera di Dubcek. O, per finire con questa carrellata imperfetta e soltanto esemplificativa, le lunghe colonne blindate che Breznev inviò in Afghanistan nel 1979.
Per carità, i tempi sono cambiati soprattutto rispetto alla crisi di Cuba, ché quella sì ci fece sentire molto vicini alla terza guerra mondiale: se qualcuno ha visto Thirteen Days, il film di Roger Donaldson che racconta quei tredici giorni terribili, ricorderà il clima di acuta nevrosi che regnava nella Casa Bianca di John Kennedy. E la follia nucleare sembra lontano anni luce, quella che veniva chiamata, con un acronimo degno del dottor Stranamore, «MAD», la reciproca distruzione assicurata: io colpisco New York, ma so che tu mi puoi simultaneamente radere al suolo Mosca, dunque mi astengo dal premere il pulsante nucleare. Nel mondo globalizzato di oggi non c’è neppure bisogno di arrivare a tanto: ci pensano già i mercati finanziari a tenere buoni i dottor Stranamore degli Anni Duemila: la Borsa di Mosca ne sa qualcosa, dopo l’esperienza dei primi giorni della crisi ucraina.
Ma queste immagini di Digital Globe fanno egualmente rabbrividire chi ha più di cinquant’anni e ha un po’ di memoria storica. Se non altro perché ci fanno capire quanto la Nato, la Ue e soprattutto gli Stati Uniti (dove quattro presidenti hanno cercato di guardare negli occhi o nell’anima, a scelta, di Putin senza capirci niente) siano stati ingenui, insipienti, ottimisti, ignoranti (a voi la scelta) nel pensare che la Russia fosse diventata per sempre una potenza di serie B, incapace di risollevarsi da una retrocessione decretata secondo i nostri regolamenti interpretativi, ma non secondo la conoscenza della storia e dei sentimenti dei russi. Come diceva Hurree Mookherjee, la spia di «Kim» di Kipling, «quando tutti saranno morti, il Grande Gioco sarà finito. Non prima».


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