L’Algeria si aggrappa al presidente fantasma Bouteflika

by redazione | 18 Aprile 2014 16:02

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ALGERI — La mattina del voto ricompare anche il presidente fantasma in un seggio di El Biar, il quartiere dei notabili e delle ambasciate di Algeri. I segni dell’ictus di due anni fa sono evidenti: Abdelaziz Bouteflika, 77 anni, è costretto sulla sedia a rotelle. I suoi riflessi appaiano incerti, anche quando fruga nel taschino della giacca per recuperare il documento di identità e porgerlo con un l’apparenza di sorriso in cambio delle schede. È il grande favorito, vincerà anche stavolta, come appare chiaro già dalle prime notizie diffuse a notte fonda. Bisogna soltanto capire con quale percentuale di consensi e quanta parte sarà finta, fabbricata dal regime. Algeri si risveglia lentamente nel giorno della scelta. Sì, ma quale scelta? Da una parte c’è quest’uomo malato che non è stato in grado di leggere un discorso davanti alle telecamere. Ma che comunque chiede, dopo 15 anni di potere, un quarto mandato in nome di «stabilità», «continuità»,«sicurezza». Parole che si decodificano facilmente: i militari dell’Armée, i servizi segreti, il comitato d’affari del gas e petrolio non si sono accordati su un altro candidato. E quindi, per il momento, la cupola procede all’ibernazione di Bouteflika, la vecchia guida del Fronte nazionale di liberazione, con una manovra che ricorda gli anni sovietici di Andropov o Cernenko.
Tra i contendenti si agita molto Ali Benflis, 69 anni, espressione del vecchio sistema, già primo ministro e capo di gabinetto di Bouteflika, ritornato dall’Olanda per l’occasione. Dichiara di poter battere il suo antico principale, che lo ha sconfitto dieci anni fa, e qualcuno gli concede qualche possibilità. Gli altri quattro candidati meritano solo un cenno: Abdelaziz Belaid; Moussa Touati; Ali Fawzi Rebaine e l’unica donna, la trotzkista Louisa Hanoune.
I conteggi delle schede e delle percentuali sono cominciati ieri notte e oggi arriveranno i dati definitivi. Nelle tv si ragiona sul tasso di partecipazione: potrebbe attestarsi intorno al 50% dei circa 23 milioni di algerini aventi diritto? Meno delle ultime presidenziali del 2009 (74.5%), dunque.
Discussioni inutili per il cartello di formazioni che ha chiesto ai cittadini di boicottare il voto. «Le cifre sono falsificate in modo sistematico: non c’è neanche un registro elettorale unico, non sappiamo neppure quanti elettori ci siano effettivamente in Algeria», osserva per esempio Adlène Meddi, responsabile dell’edizione online del quotidiano indipendente El Watan .
Il problema è che in Algeria si vede una prospettiva solo per gli affari, gli appalti, le commesse, mentre la costruzione di un nuovo equilibrio sociale, di una nuova rappresentanza politica sembra rimandata. I movimenti di opinione, che pure ci sono, non sfondano. Sabato c’erano più automobilisti in coda per fare il pieno, con la paura di chissà quale catastrofe, che manifestanti al raduno del gruppo Facebook di Barakat (Basta!). L’Islam politico che ha vinto in Tunisia ed Egitto (prima del golpe militare) non ha alcuna speranza di rinascere, dopo il cosiddetto «decennio nero» negli anni Novanta, quelli dello scontro violento tra il Fis (Fronte islamico di salvezza) e i militari. Solo dalla regione orientale della Cabilia giungono gli echi di rivolte. Anche ieri gruppi di giovani si sono scontrati con la polizia. Risultato: qualche decina di feriti, ma nessun impatto politico sulle elezioni. Nella capitale, invece, nulla da segnalare. Posti di blocco rafforzati, ma non molesti, sulle strade. Poliziotti ai seggi, armati ma non nervosi. E dentro le scuole adibite a centri elettorali un clima surreale. Nel pomeriggio, Khaled, 25 anni, vice presidente del bureau de vote nel liceo Emir Abdel Khader, nel distretto della Casbah, spiega come tutto stia andando per il meglio. Alle 14, dice, hanno votato circa 200 persone. Ma nell’urna di plastica trasparente sembra di scorgere qualche decina di schede al massimo. Ogni lista ha il suo rappresentante, annuncia ancora Khader. Ma nel cortile gli studenti di 20-21 anni, con il cartellino sul petto, confessano che lì sono tutti per Bouteflika. Ecco il luogo dei timidi sit-in dei giorni scorsi: Place de la Poste è presidiata dalle divise verdi della gendarmeria. Ecco, invece, l’altra Algeri, di Square Port Said. Sotto le palme cinque-sei giovani cambiano valuta in nero. «Il voto? Quale voto? Io voto Euro: oggi vale 150,6». Un terzo in più del cambio legale. Vietatissimo. A dieci metri un gruppo di poliziotti in tuta nera osserva. E fuma.
Giuseppe Sarcina

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