Laureati d’Europa, Italia fanalino di coda

Laureati d’Europa, Italia fanalino di coda

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L’talia è ultima in clas­si­fica in Europa per numero di laureati. Ormai è così da tre a que­sta parte. Gli ita­liani fra i 30 e i 34 anni che hanno com­ple­tato il ciclo di studi uni­ver­si­tari sono il 22,4% della popo­la­zione, il livello più basso fra i 28 Paesi dell’Unione europea.

Secondo i dati dif­fusi ieri da Euro­stat, e rela­tivi al 2013, l’Italia si clas­si­fica die­tro Roma­nia (22,8%), Croa­zia (25,9%) e Malta (26%), men­tre la media Ue si atte­sta al 37%. Dal 2002 al 2013, si sot­to­li­nea nel rap­porto dell’Eurostat, c’è stato un aumento costante della per­cen­tuale di per­sone lau­reate nell’Unione euro­pea, pas­sata dal 24% al 37%. E il numero è aumen­tato in tutti i Paesi, con in testa Irlanda (52,6%), Lus­sem­burgo (52,5%) e Litua­nia (51,3%).

Dalle tabelle dell’istituto di sta­ti­stica euro­peo emerge anche che l’Italia sof­fre nella clas­si­fica dell’abbandono del secondo ciclo di studi, dove si piazza quin­tul­tima. In Europa la per­cen­tuale di abban­dono sco­la­stico dei gio­vani fra i 18 e i 24 anni è dimi­nuita costan­te­mente, dal 17% del 2002 al 12 del 2013. Anche sul fronte della bat­ta­glia con­tro gli abban­doni sco­la­stici, l’Italia si clas­si­fica in fondo alla clas­si­fica: 23esima su 28 per numero di ragazzi tra i 18 e 24 anni che hanno abban­do­nato studi e for­ma­zione dopo la scuola media, il 17%, men­tre la media Ue è dell’11,9%. Peg­gio fanno solo Spa­gna (23,5%, record nega­tivo), Malta (20,9%), Por­to­gallo (19,2%) e Roma­nia (17,3%). Ma se Madrid e Lisbona hanno tut­ta­via regi­strato impor­tanti pro­gressi: gli spa­gnoli sono pas­sati dal 31% di abban­doni del 2007 al 23,5% del 2013 e i por­to­ghesi dal 36,9% al 19,2%, l’Italia in sei anni è miglio­rata solo del 3%. I paesi vir­tuosi sono invece Croa­zia (3,7%), Slo­ve­nia (3,9%) e Repub­blica ceca (5,4%).

Que­sto qua­dro a tinte fosche è stato ripe­tu­ta­mente trac­ciato da ana­lisi simili a quelle di Euro­stat, pub­bli­cate negli ultimi mesi sia da Alma­lau­rea che dall’Anvur in occa­sione della pre­sen­ta­zione del primo rap­porto sullo stato dell’università 2013. Ad appro­fon­dire però gli effetti della deli­be­rata stra­te­gia intra­presa dalle classi diri­genti ita­liane con il taglio di 10 miliardi di euro dal 2008 all’istruzione e alla ricerca è giunto ieri il rap­porto Ricer­carsi, una ricerca sul pre­ca­riato nelle uni­ver­sità con­dotta su un cam­pione di 1.700 que­stio­nari pre­sen­tato ieri alla città della scienza di Napoli nel corso del con­gresso della Flc-Cgil. «Meno della metà dei ricer­ca­tori delle uni­ver­sità ita­liane è assunto a tempo inde­ter­mi­nato, men­tre tra i ricer­ca­tori solo il 30 per cento ha un rap­porto a tempo inde­ter­mi­nato» ha detto il ricer­ca­tore Fran­ce­sco Vitucci. Negli ultimi 10 anni il pre­ca­riato nelle uni­ver­sità è quasi rad­dop­piato: 10 mila posi­zioni in più, a dimo­stra­zione che al blocco del tur­no­ver le uni­ver­sità hanno rispo­sto in un solo modo: mol­ti­pli­cando il numero dei con­tratti pre­cari, senza con­tare il lavoro gra­tuito e le cor­vée. Nel decen­nio della grande dismis­sione deciso dal governo Ber­lu­sconi e mai più cor­retto dai suoi suc­ces­sori, solo il 7% dei 35 mila con­tratti sti­pu­lati si è tra­sfor­mato in assun­zioni. Il 35% dei fuo­riu­sciti è oggi disoc­cu­pato. Lo Stato ita­liano si con­ferma il più grande sfrut­ta­tore al mondo di lavoro pre­ca­rio, in par­ti­co­lare di quello qua­li­fi­cato. Non biso­gna infatti dimen­ti­care che, solo restando al mondo dell’istruzione, tiene da tan­tis­simi anni sulla corda almeno 141 mila docenti pre­cari, senza con­si­de­rare le mul­ti­formi pre­ca­rietà del resto del per­so­nale scolastico.

I dati di oggi rive­lano tut­ta­via qual­cosa in più. Come taglia­tore di teste, lo Stato ita­liano è molto più spie­tato di qual­siasi mana­ger in un’azienda privata.


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