Manovra 2015 da 4,8 miliardi e il Def blocca fino al 2020 gli aumenti per gli statali

Manovra 2015 da 4,8 miliardi e il Def blocca fino al 2020 gli aumenti per gli statali

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Dopo la spending review di 4,5 miliardi di quest’anno destinata al bonus Irpef, si profila una manovra di altri 4,8 miliardi per ricondurre i conti pubblici entro il sentiero previsto dall’Europa. I dettagli della «cura», destinata a correggere i conti del 2015, sono indicati dal Documento di economia e finanza che parla esplicitamente di misure che «saranno definite nel corso dell’estate».
Il menù prevede l’accelerazione dell’introduzione dei costi standard per calcolare i trasferimenti ai Comuni (600-800 milioni nel 2015), la riorganizzazione delle forze di polizia con un occhio alla presenza territoriale, ai corpi specializzati e alla Forestale (il Def parla di 800 milioni nel 2015). Nell’elenco anche l’estensione della fatturazione elettronica a tutta la pubblica amministrazione (110 milioni di risparmi per il prossimo anno), la riorganizzazione delle Capitanerie di porto e dei Vigili del Fuoco (300 milioni), mentre dalla riforma delle Comunità montane verranno altri 100 milioni.
In tutto, per ora, si tratta di 2,1 miliardi ai quali, se il governo confermerà le linee annunciate nel Documento Renzi-Padoan, si aggiungeranno i risparmi che si otterranno dal blocco della contrattazione del pubblico impiego fino al 2020 (un periodo per il quale è stata prevista la sola indennità di vacanza contrattuale) e dalla conferma del congelamento del turn over fino al 2017. Misure che trovano tuttavia l’ostilità dei sindacati, dalla Cgil alla Cisl alla Uil, che ieri hanno definito «inaccettabile » il programma.
Quest’anno, invece, niente manovra. Una sorta di «sabbatico » della mannaia. Non si andrà oltre la spending review che sarà utilizzata per finanziare il bonus di 80 euro atteso per venerdì prossimo e che continua ad essere oggetto di polemiche. Il premier ha fatto quadrato attorno alla misura: il beneficio non è solo per il 2014 ma sarà «confermato anche per i prossimi anni», ha detto. Mentre il sottosegretario Delrio ha assicurato, replicando allo studio della Uil servizio politiche territoriali che dimostra come Tasi e tasse locali rischiano di «mangiare» il 40 per cento del bonus Irpef, che la tassa sugli immobili sarà «equilibrata e leggera ».
La partita a scacchi di Renzi e Padoan con Bruxelles è a bassa tensione ma resta in piedi. Il Def si impegna al rispetto dei parametri, ma chiede e mette in atto il rinvio sul «pareggio di bilancio» di un anno e annuncia un pressing sui metodi di calcolo dello sconto recessione sul deficit. Padoan ha rinunciato allo «sfondamento » di quota 3 per cento lasciando sostanzialmente inalterato l’obiettivo al 2,6 del deficit-Pil per quest’anno, ma l’azione sulla «flessibilità» si è spostata sul «pareggio di bilancio», previsto dal Fiscal compact e dalla Costituzione. Nel 2014 il deficit strutturale (quello che dovrà raggiungere il «pareggio» ed è considerato al netto della recessione) per ora sale e raddoppia: dallo 0,3 (previsto nel settembre scorso) allo 0,6 per cento e quota «zero» viene rinviata al 2016. Il governo, spiega il Def, «ritiene che non sia opportuno» procedere alla riduzione del deficit strutturale dello 0,5 previsto dal cosiddetto «obiettivo di medio termine ». Motivazione: «circostanze eccezionali», ovvero forte recessione e fragile occupazione. Per cui partirà una «specifica richiesta di autorizzazione» a Bruxelles.
Il resto della partita si gioca sulla crescita e sui suoi effetti positivi sulla riduzione del debito. La situazione è pesante, se si tiene conto che il Def calcola in 14,5 punti il piano di rientro del debito, per scendere dal 134,9 al 120,5 per cento del Pil: significa circa 23 miliardi. Se non si interverrà con 12 miliardi di privatizzazioni a cominciare dal biennio 2014-2015 si rischia di incappare nelle sanzioni del Fiscal compact.
Su questo fronte ci potranno aiutare tuttavia le riforme: il Def calcola che ci daranno 2,2 punti di Pil in più a regime nel 2018. Solo nel prossimo anno la riduzione dell’Irpef e dell’Irap, il jobs act e le liberalizzazioni porteranno alla crescita una dote di 0,8 punti. Se poi il Pil nominale crescesse di 3 punti (1 reale e 2 di inflazione) nei prossimi anni potrebbe anche innescarsi una riduzione automatica del debito, grazie alla crescita del denominatore, cioè il Pil.
«L’Italia è uno dei sistemi più sostenibili delle economie avanzate, daremo più soldi a famiglie e imprese», ha assicurato ieri da Washington. in una intervista alla Cnbc, il ministro per l’Economia Pier Carlo Padoan e ha ribadito l’esigenza di riformare il mercato del lavoro in Italia. «La crescita dell’Italia — ha aggiunto — è bassa da due decenni. E anche se partiamo da uno 0,8 per cento e aggiungiamo circa uno 0,4 per cento significa che c’è un aumento della crescita del 50 per cento». Il riferimento è alla crescita stimata per quest’anno pari allo 0,8 per cento e per il prossimo all’1,3 per cento.
Ad aiutare i conti pubblici riemerge anche l’effetto spread: il risparmio per la spesa per interessi sarà quest’anno di 3,5 miliardi. Infatti la previsione di spesa per il 2014 è scesa dagli 86 miliardi previsti dalla nota di aggiornamento di settembre di Letta (Monti nel Def dell’aprile 2013 indicava una spesa di 90,3 miliardi) alla cifra di 82,5 prevista dal Documento Renzi-Padoan


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