La minaccia di Erdogan “Staneremo i nemici gliela faremo pagare”

La minaccia di Erdogan “Staneremo i nemici gliela faremo pagare”

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ISTANBUL. Corrotto, forse. Ma di sicuro efficiente. E con una capacità di convincimento politico fuori dal comune. I turchi (anche loro) il proprio leader lo preferiscono così. E il giorno dopo la sorprendente vittoria alle amministrative, più del 45 per cento al partito conservatore islamico nonostante le accuse di scarsa trasparenza, per il premier Recep Tayyip Erdogan scatta il momento della vendetta. Già al balcone, la notte del risultato, si è presentato mano nella mano con il figlio Bilal e la figlia Sumeyye, i due protagonisti della clamorosa intercettazione in cui il premier consigliava di nascondere una montagna di danaro. Un lavacro pubblico, davanti a una folla festante, servito come base per rilanciare i propri progetti, non prima di essersi tolto qualche masso dalle scarpe. «Chi ha attaccato la Turchia è rimasto deluso — ha detto in tono cupo — da domani può essere che qualcuno scapperà. Noi però entreremo nei loro covi, e loro pagheranno il prezzo». «Faremo i conti», ha incalzato Erdogan, mentre sia Bilal sia la moglie Emine e la figlia Sumeyye facevano di sì con la testa. «Come si può minacciare la nostra sicurezza nazionale?», si è chiesto, alludendo alla fuga di immagini e audio su una riunione militare segreta dedicata al conflitto siriano, che ha condotto alla decisione di bloccare, dopo Twitter, anche YouTube. «Sulla
LA FAMIGLIA
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan insieme ai figli subito dopo i risultati delle elezioni
Siria, poi!», ha rincarato la dose il premier. «La Siria attualmente è in guerra con noi. Non ci sarà uno Stato nello Stato. È stata punita la politica priva di etica, fatta di intercettazioni e montature».
E così, in una sola frase, il primo ministro ha liquidato le registrazioni telefoniche che incastrerebbero lui e il figlio, le accuse di corruzione alla sua cerchia, le epurazioni di magistrati e poliziotti ostili, e il braccio di ferro con l’ex alleato Fetullah Gulen, il predicatore islamico in esilio volontario negli Stati Uniti, fondatore del movimento “Hizmet” (Il servizio), quello che per Erdogan sarebbe appunto uno «Stato nello Stato».
A lanciare l’allarme su possibili ritorsioni è stato subito il leader del primo partito d’opposizione, il socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu, domenica uscito con un modesto 28,5%. «Erdogan ha chiaramente minacciato la democrazia, la legge e i social media », ha detto. E poi, rivolgendosi direttamente al leader: «Vuoi lanciare una caccia alle streghe? Che fine ha fatto lo Stato di diritto? ». Anche i social network ritornano nel mirino. E dopo l’oscuramento di YouTube e Twitter, ieri Google ha denunciato che la Turchia sta «dirottando » il traffico web dal suo motore di ricerca, attraverso la modifica degli indirizzi che permettono di arrivare ai siti corrispondenti alle voci trovate. Scriveva ieri il quotidiano indipendente Taraf: «Invece di lanciare messaggi di unità Erdogan ha lanciato accuse di tradimento, annunciando provvedimenti contro gli oppositori». E con lucidità analizza il direttore di Hur-riyet Daily News, Murat Yetkin: «In qualsiasi altro Paese democratico solo la metà di queste accuse di corruzione sarebbe stata sufficiente per fare cadere il governo. Ma in Turchia costa solo cinque punti di meno nell’appoggio a Erdogan. Guardiamo in faccia la nuda verità della politica turca. La maggioranza degli elettori ha chiuso occhi e orecchie davanti alle accuse di corruzione perché Erdogan glie lo ha chiesto. E ha ancora una grande influenza
su di loro».


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