Narendra Modi, il «self made man» e parafascista hindu

Narendra Modi, il «self made man» e parafascista hindu

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Naren­dra Modi ha una sola espres­sione, onni­pre­sente in tutta la città di New Delhi: sguardo auto­ri­ta­rio, barba bianca impec­ca­bile, occhiali con mon­ta­tura leg­gera, kurta in tinta chiara; nei car­tel­loni pub­bli­ci­tari più grandi, mano alzata a pugno chiuso o indice pun­tato verso il cielo, a rimar­care un qual­siasi con­cetto preso a casac­cio dal pron­tua­rio della cam­pa­gna elettorale.

Le accuse mosse con­tro gli avver­sari poli­tici, come le vaghe pro­messe di cre­scita estese all’elettorato nazio­nale, hanno il sapore della sen­tenza divina. Non neces­si­tano spie­ga­zioni cir­co­stan­ziali, la cul­tura del fact-checking è la morte del cari­sma e Modi, un Uomo del Fare, gode di un cari­sma stra­ri­pante quasi quanto il suo ego. La favola del self made man sem­bra stu­diata a tavo­lino. Nato nel 1950, terzo di sei figli di un’umile fami­glia guja­rati, Modi alterna gli studi aiu­tando il padre al ban­chetto del té nella sta­zione di Vad­na­gar. Ma a 8 anni, spinto dall’ambizione di «fare qual­cosa di più», entra a far parte delle gio­vani leve della Rash­triya Swa­yam­se­vak Sangh (Rss): senza troppi giri di parole, un ‘orga­niz­za­zione para­fa­sci­sta a tra­zione hindu, orga­niz­zata in nuclei ter­ri­to­riali ispi­rati dai det­tami dell’Hindutva, con­cetto ultra­na­zio­na­li­sta di «India agli hindu» in pla­teale nega­zione dei prin­cipi seco­lari e mul­ti­cul­tu­rali sui quali la Repub­blica indiana si pog­gia – almeno for­mal­mente – sin dal 1947. Oggi il mito che esalta le folle è il rove­scia­mento della tra­di­zione clas­si­sta del sub­con­ti­nente: Modi è «uno come noi», non ha stu­diato all’estero, parla un inglese appros­si­ma­tivo, difende le tra­di­zioni hindu, non è uno di quei «pro­fes­so­roni» dell’élite. Modi è il figlio del chai­walla più forte della povertà e della «casta» — acce­zione ita­liana – che sba­ra­glia la con­cor­renza e punta allo scranno più alto. Tra le taz­zine di creta alla sta­zione di Vad­na­gar e la can­di­da­tura a primo mini­stro c’è però il ter­ri­fi­cante det­ta­glio – nasco­sto tra le pie­ghe della pro­pa­ganda filo capi­ta­li­sta del Vibrant Guja­rat – di 48 anni di inde­fessa mili­tanza nella Sangh Pari­var, l’unione dei gruppi ultra­na­zio­na­li­sti hindu respon­sa­bile di innu­me­re­voli pogrom set­tari. Gli uomini della Sangh, nella migliore tra­di­zione fasci­sta, col­pi­scono le mino­ranze etni­che e reli­giose indi­vi­duando via via obiet­tivi sen­si­bili utili alla bat­ta­glia poli­tica del momento, sono il brac­cio armato che arruola gio­vani ai mar­gini come il pic­colo Modi, adde­stran­doli secondo le carat­te­ri­sti­che natu­rali messe al ser­vi­zio della causa. C’è chi diventa un pic­chia­tore, chi ammi­ni­stra la mala­vita degli slum di Mum­bai, chi diventa avvo­cato e chi fa il salto e diventa l’uomo della Sangh nel Bha­ra­tiya Janata Party (Bjp). E Modi, che è uomo astuto nel dimo­strarsi fedele coi – tem­po­ra­nea­mente – potenti e spie­tato con gli avver­sari, è l’esperimento antro­po­lo­gico meglio riu­scito della pale­stra poli­tica ultra­na­zio­na­li­sta indiana. Gra­zie ai rap­porti di fidu­cia instau­rati negli anni, nutriti da un timore reve­ren­ziale ali­men­tato da epi­sodi inquie­tanti di cui i fatti di Godra sono solo la punta dell’iceberg, Modi ha il pre­gio del dit­ta­tore: tra­mu­tare i desi­deri in realtà abbat­tendo gli osta­coli sul suo cam­mino, siano que­sti i diritti delle mino­ranze, i vin­coli di costru­zione in ter­reni desti­nati all’agricoltura, la ricerca di un con­senso demo­cra­tico, la con­si­de­ra­zione delle istanze degli «altri», in senso lato.

Il fascino dell’uomo solo al comando eser­cita un magne­ti­smo molto potente nell’elettorato indiano, stanco delle lun­gag­gini di un par­la­mento peren­ne­mente sotto ricatto dei par­ti­tini locali, fru­strato dalla fame di soldi di una classe poli­tica cor­rotta per antonomasia.

Modi, agli occhi degli elet­tori, rap­pre­senta tutto l’opposto: un deci­sion maker spar­tano deten­tore della Visione che rilan­cerà il paese. L’entusiasmo della marea pro-Modi è pari al ter­rore di quanti in India hanno a cuore la soprav­vi­venza dei prin­cipi demo­cra­tici, seco­lari, di libertà d’espressione e con­vi­venza civile che – sep­pur con nume­rose bat­tute d’arresto nella Sto­ria – hanno sem­pre ani­mato gli intenti dell’imperfetta demo­cra­zia indiana.


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