E ora peace on drugs, l’amnistia di Obama

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Qual­che mese fa Barack Obama ha con­cesso la gra­zia ad otto dete­nuti fede­rali. Nel darne l’annuncio a dicem­bre aveva detto: «Com­mu­tare le sen­tenze di que­sti otto Ame­ri­cani è un passo impor­tante per riba­dire ideali fon­da­men­tali di giu­sti­zia ed equità, ma non deve essere l’ultimo». L’affermazione è sto­rica per­ché denun­cia impli­ci­ta­mente la gene­rale ingiu­sti­zia che l’ha pre­ce­duta e annun­cia un inver­sione ideo­lo­gica di por­tata poten­zial­mente più radi­cale di quella della riforma sani­ta­ria che tanto ha assor­bito la sua ammi­ni­stra­zione. Que­sta set­ti­mana Obama ha tenuto fede a quella dichia­ra­zione annun­ciando l’allargamento delle «cle­menze ese­cu­tive» che potrebbe equi­va­lere ad una sostan­ziale amni­stia per migliaia di dete­nuti federali.
Uno degli otto “gra­ziati”, Cla­rence Aaron di 43 anni era stato arre­stato poco più che ven­tenne. Stu­dente modello e gio­ca­tore di foot­ball aveva avuto un ruolo secon­da­rio in una «tran­sa­zione di droga»: aveva pre­sen­tato un suo ex com­pa­gno di liceo, ora spac­cia­tore, ad un com­pa­gno di uni­ver­sità il cui fra­tello traf­fi­cava anch’egli in droga. I due spac­cia­tori in seguito si erano messi d’accordo per la com­pra­ven­dita di 9kg di cocaina e quando la poli­zia li aveva arre­stati ave­vano impli­cato il gio­vane Aaron in cam­bio di un alleg­ge­ri­mento delle pene. Il ragazzo che invece si era rifiu­tato di col­la­bo­rare con gli inqui­renti e denun­ciare i suoi amici, era stato con­dan­nato a tre erga­stoli. Per incre­di­bile che possa sem­brare la pena “esem­plare” non fu fuori dal comune, spe­cie per l’epoca, negli anni ’90 all’apice della war on drugs, l’escalation del proi­bi­zio­ni­smo “armato” che in 40 anni ha fatto scem­pio nelle comu­nità emar­gi­nate pro­gram­ma­ti­ca­mente rap­pre­sen­tate in que­sto caso dal gio­vane afroa­me­ri­cano Aaron.

Dopo essere stata dichia­rata da Richard Nixon, come parte della fami­ge­rata «tol­le­ranza zero con­tro la cri­mi­na­lità», la war on drugs è assurta a fon­da­men­tale com­po­nente della dema­go­gia poli­tica, codi­fi­cata negli sta­tuti giu­di­ziari in misura sem­pre più impre­scin­di­bile dal «man­da­tory sen­ten­cing» maxi­pene obbli­ga­to­rie che i giu­dici erano (sono) tenuti ad imporre. In molti Stati sono state varate leggi come la famosa 3 stri­kes cali­for­niana che impone l’ergastolo obbli­ga­to­rio alla terza infra­zione, qua­lun­que essa sia. Così per oltre 30 anni il flusso di pri­gio­nieri di lungo corso per cri­mini non­vio­lenti legati agli stu­pe­fa­centi si è ingros­sato senza sosta.

Risul­tato: un iper­tro­fico com­plesso penale-industriale arti­co­lato in migliaia di peni­ten­ziari e pri­gioni, un gulag nazio­nale in cui sono incar­ce­rati un incre­di­bile 2,3 milioni di per­sone, una popo­la­zione che dal 1985 è quin­tu­pli­cata. Oggi gli Usa che rap­pre­sen­tano circa il 5% della popo­la­zione mon­diale deten­gono noto­ria­mente die­tro le sbarre il 25% dei pri­gio­nieri del mondo, la gran mag­gio­ranza dei quali con­dan­nati per reati “di droga” spesso irri­sori. Intanto la “droga” come feno­meno non accenna mini­ma­mente ad essere sconfitta.

La cro­ciata giu­sti­zia­li­sta ha tro­vato nuovo impulso negli anni del rea­ga­ni­smo ed è stata par­ti­co­lar­mente viru­lenta nell’era neo­con­ser­va­trice, diven­tando sem­pre più stru­mento di con­trollo sociale. A fronte della pri­va­tiz­za­zione di edu­ca­zione e sanità e dei tagli della spesa pub­blica, nel momento in cui i lupi di Wall Street e ram­polli middle class crea­vano un mer­cato di massa per la coca “ricrea­tiva” la war on drugs ha rap­pre­sen­tato pra­ti­ca­mente una spe­di­zione puni­tiva con­tro poveri e mino­ranze come da anni pale­sano le ver­go­gnose discre­panze delle pene pre­vi­ste per la detenzione/spaccio di cocaina rispetto a quelle com­mi­nate a chi usa il crack.

La forma cri­stal­liz­zata di cocaina così chia­mata da uno sballo molto più con­cen­trato e soprat­tutto viene com­mer­cia­liz­zata in for­mato mono­dose a prezzi assai più mode­sti dif­fon­den­dosi così a mac­chia d’olio nei ghetti e fra le popo­la­zioni urbane più mar­gi­nali (con, all’inizio degli anni ’80, la docu­men­tata con­ni­venza della Cia che all’epoca col traf­fico di crack sov­ven­zio­nava i Con­tras nicaraguensi).

Da allora le sto­rie di neri e ispa­nici dei ghetti con­dan­nati a 20 anni per deten­zione di un cri­stallo di coca men­tre nei quar­tieri middle-class avvo­cati o agenti di borsa se la cavano con una con­di­zio­nale per dieci grammi di pol­vere hanno deli­neato la tan­gi­bile demar­ca­zione della discri­mi­na­zione giu­di­zia­ria. Oggi i neri d’America sono incar­ce­rati con un tasso sei volte supe­riore a quello dei bian­chi; i pri­gio­nieri afroa­me­ri­cani sono 1 milione, ben oltre il 40% del totale mal­grado costi­tui­scano a mala­pena il 10% della popo­la­zione gene­rale. La pro­ba­bi­lità che oggi ha un gio­vane nero come Cla­rence Aaron di finire in galera prima dei 40 anni è di sei volte supe­riore a quella di un bianco. Sono i numeri dell’ «abo­mi­nio morale» al cuore della «più grande demo­cra­zia occi­den­tale» l’immagazzinamento di gene­ra­zioni di sepolti vivi come poli­tica sociale.

Una poli­tica oltre­tutto dagli enormi costi finan­ziari per cui uno stato come la Cali­for­nia (250.000 dete­nuti) spende più di $100.000 all’anno per un dete­nuto mino­renne e meno di $10.000 nello stesso periodo per uno stu­dente nella scuola pub­blica. L’industria penale è pro­mossa da forti lobby (vedi i poten­tis­simi sin­da­cati delle guar­die car­ce­ra­rie che spin­gono per pene sem­pre più severe) e rap­pre­senta ormai un giro di affari da $80 miliardi, avendo pro­dotto anche il feno­meno “ibrido” della car­ce­ra­zione com­mer­ciale delle pri­gioni pri­vate che si aggiu­di­cano lauti subap­palti per custo­dire dete­nuti. Ma non bastano: l’anno scorso il governo fede­rale ha inti­mato alla Cali­for­nia di scar­ce­rare un numero di dete­nuti (decine di migliaia) suf­fi­ciente ad alle­viare le cro­ni­che ed inco­sti­tu­zio­nali con­di­zioni di sovraf­fol­la­mento degli isti­tuti penali. In que­sta per­versa eco­no­mia, gli stati in crisi di bilan­cio hanno dif­fi­coltà ogget­tive a man­te­nere il passo della car­ce­ra­zione rampante.

Anche l’amnistia di Obama uffi­cial­mente è moti­vata dal ridi­men­sio­na­mento dei costi della car­ce­ra­zione, ma nel con­te­sto sto­rico si tratta in realtà di una radi­cale inver­sione di rotta rispetto al giu­sti­zia­li­smo ram­pante che per trent’anni ha riem­pito le galere ame­ri­cane e con­tro il quale il suo l’attorney gene­ral, il mini­stro della giu­sti­zia Eric Hol­der nel secondo man­dato si è espresso sem­pre più esplicitamente.

Hol­der ha aper­ta­mente denun­ciato «un uti­lizzo ecces­sivo della car­ce­ra­zione» come rime­dio sociale eco­no­mi­ca­mente inso­ste­ni­bile oltre­ché ecces­si­va­mente costoso in ter­mini «umani e morali». Il discorso che Hol­der ha fatto a que­sto riguardo lo scorso ago­sto alla con­fe­renza degli avvo­cati ame­ri­cani era stato in alcuni suoi pas­saggi, nien­te­meno che epo­cale: «Ora che la cosid­detta war on drugs sta per entrare nel suo quinto decen­nio –ha detto il mini­stro –dob­biamo chie­derci se sia dav­vero stata effi­cace. Con la nostra enorme popo­la­zione di dete­nuti dob­biamo chie­derci se la car­ce­ra­zione sia dav­vero usata per punire, dis­sua­dere e ria­bi­li­tare o se si tratti in realtà di un sem­plice stru­mento per imma­gaz­zi­nare e dimen­ti­care. La pura verità è che sia a livello fede­rale che sta­tale che locale è ormai dive­nuta inef­fi­cace e inso­ste­ni­bile. (Inol­tre) dob­biamo rico­no­scere che una volta nel sistema, le per­sone di colore subi­scono puni­zioni molto più severe delle loro con­tro­parti. Le sen­tenze “obbli­ga­to­rie” hanno avuto con la loro infles­si­bi­lità un effetto desta­bi­liz­zante sulle popo­la­zioni povere e di colore. Negli ultimi anni – ha con­cluso Hol­der –i dete­nuti neri hanno rice­vuto con­danne più lun­ghe del 20% rispetto a quelli bian­chi per delitti simili. Que­sto non solo è inac­cet­ta­bile, non è degno della giu­sti­zia in que­sto Paese ed è vergognoso».

Una ver­go­gna cui occor­re­rebbe porre rime­dio con una inte­grale riforma delle leggi e san­zioni troppo per il pre­si­dente che in que­sto anno elet­to­rale dif­fi­cil­mente avrebbe potuto supe­rare l’ostruzionismo repub­bli­cano su un tema “caldo” come l’ordine pub­blico. Obama ha invece agito per decreto, usando la facoltà pre­si­den­ziale della gra­zia ed esten­den­dola poten­zial­mente migliaia di dete­nuti. Anche se l’amnistia dovrà essere con­cessa di volta in volta ai sin­goli dete­nuti c’è chi, come Jerry Cox, pre­si­dente dell’associazione degli avvo­cati ha par­lato di «ini­zio della fine dell’era della car­ce­ra­zione di massa».

Il mini­stero di giu­sti­zia intanto sem­bra inten­zio­nato a fare sul serio. Per comin­ciare è stato rimosso Ronald Rod­gers, il pro­cu­ra­tore pre­po­sto a valu­tare le domande di cle­menza, un noto falco che si ado­pe­rava di fatto per insab­biare le pra­ti­che – com­presa quella di Cla­rence Aaron che per molti anni ha cesti­nato – prima che giun­ges­sero al pre­si­dente. E in secondo luogo met­tendo a dipo­si­zione difen­sori d’ufficio a chiun­que voglia inol­trare una pratica.

Se riu­scirà in seguito ad ampliare le riforme, l’intervento sulle car­ceri potrebbe essere il retag­gio più tan­gi­bile del primo pre­si­dente afroamericano.



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