Scoop sul Datagate Guardian e Post vincono il Pulitzer

Scoop sul Datagate Guardian e Post vincono il Pulitzer

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LONDRA Li hanno chiamati spie, ladri, traditori della patria, altro che giornalisti o paladini della libertà. Ma il Guardian di Londra e il Washington Post , i due quotidiani protagonisti delle rivelazioni sul Datagate offerte loro dalla “talpa” Edward Snowden, ottengono ora la più alta riabilitazione possibile: il Pulitzer, il più prestigioso premio americano, ma in effetti mondiale, per il giornalismo. Nella categoria più importante e significativa: quella del “public service”, il servizio pubblico, che riconosce un servizio fatto alla nazione, alla società civile, alla democrazia. E’ come se due giornali che l’establishment politico della Gran Bretagna e degli Stati Uniti volevano per lungo tempo mettere alla gogna avessero ottenuto l’assoluzione, accompagnata da un titolo di merito, dalla corte di cassazione della carta stampata: il premio che porta il nome di un leggendario editore, Joseph Pulitzer, assegnato annualmente ai migliori reporter degli Usa ma stavolta dato anche a un media britannico, sia pure grazie al cavillo che la sua folta redazione americana rappresenta una sorta di giornale statunitense.
Annunciato a New York dalla facoltà di giornalismo della Columbia University, il premio arriva dieci mesi dopo il primo articolo pubblicato dal Guardian sul programma di intercettazioni di massa della National Security Agency, l’agenzia di spionaggio elettronico americana. Poi anche il Post, il quotidiano che scoperchiò il Watergate e fece dimettere un presidente, si è unito alle rivelazioni. Ma non c’è dubbio che sia il quotidiano di Londra ad avere guidato questa sfida: un piccolo giornale dall’altra parte dell’Atlantico, tutto sommato (oggi tira appena 250 mila copie), ma scritto in inglese e con uno dei siti più letti del pianeta. La giuria del Pulitzer elogia il giornale diretto da Alan Rusbridger per «avere aiutato con le sue inchieste aggressive ad accendere un dibattito sui rapporti tra il governo e il pubblico su questioni di sicurezza e di privacy». Dopo le iniziali reazioni di sdegno e condanna, recentemente anche il presidente Obama si è convinto dell’utilità di una discussione simile, ordinando un rapporto interno sul Datagate e riforme delle leggi per salvaguardare la privacy di leader stranieri e popolazione. Il premier britannico David Cameron, non meno critico di Obama nei confronti del Guardian, a un certo punto ha preferito smettere di parlarne.
Al Guardian, alla lunga inchiesta hanno lavorato, in stretta collaborazione con Snowden, i giornalisti Glenn Greenwald (che successivamente ha lasciato il giornale per fondare un sito di giornalismo investigativo) ed Ewen Macskill e la documentarista Laura Poitras. Tutti e tre avevano già ricevuto il Polk Award, altro importante premio giornalistico Usa; mentre il direttore Rusbridger ha raccolto premi in tutta Europa e il Guardian è stato nominato “il giornale dell’anno” dall’associazione della stampa britannica. Il Pulitzer è però il più prestigioso di tutti: per chi lavora nel campo dell’informazione è come il Nobel. Assegna premi in ventidue categorie (inclusi la narrativa, il teatro e la fotografia): quest’anno il Boston Globe ha vinto per i servizi sull’attentato all’arrivo della maratona cittadina, due inviati dell’agenzia Reuters hanno vinto per i loro reportage internazionali, e un cronista del Center for Public Integrity ha vinto per lo scoop sugli imbrogli di avvocati e medici per negare ai minatori di carbone i danni per le malattie sofferte.
Ma la storia del giorno è chiaramente il premio al Guardian e al Post . In un articolo sul proprio sito, il quotidiano che un tempo aveva sede nella Manchester della rivoluzione industriale e ora è in un moderno palazzo dietro la stazione di King’s Cross a Londra, riconosce che i giurati della Columbia non hanno avuto scelta facile: «Il Datagate ha diviso il mondo suscitando opinioni contrastanti». Da un lato lo scandalo per la rivelazione che 35 leader stranieri, compresa la Merkel, venivano spiati, e che centinaia di milioni di telefonate, email, comunicazioni su social network, venivano sorvegliate senza sufficienti controlli e vigilanza. Dall’altro, Edward Snowden è dovuto fuggire prima in Cina, quindi in Russia, dove è tuttora nascosto, per non essere arrestato sulla base di tre imputazioni, “l’ottava persona incriminata per violazione dello Espionage Act del 1917 dall’amministrazione Obama, più di quante ne abbiano incriminate tutti i precedenti presidenti americani messi insieme”. Lo stesso anno, 1917, in cui venne istituito e si cominciò ad assegnare il Pulitzer. Chissà se adesso il premio al Guardian e al Post convincerà Obama a graziare Snowden e riconoscere che anche lui ha fatto un “servizio pubblico”


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