E se dietro il salario minimo ci fosse l’addio al contratto?

E se dietro il salario minimo ci fosse l’addio al contratto?

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Appena varato in Germania, potrebbe arrivare presto anche in Italia. Il salario minimo ieri è stato rilanciato direttamente dal viceministro all’Economia Enrico Morando in una sede importante come il Workshop Ambrosetti di Cernobbio. Ma è già presente anche nel disegno di legge delega depositato venerdì al Senato da Poletti, il cosiddetto Jobs act. Una norma che però spaventa il sindacato, che adombra la possibilità che la mossa sia propedeutica ad un depotenziamento del contratto nazionale.

La dichiarazione di Morando a Cernobbio ha fatto molto discutere. Perché il viceministro – parlando davanti ad una platea di imprenditori – ha detto chiaro e tondo: «Si potrebbe fare alla svelta una legge sul salario minimo. Un salario minimo che deve essere minimo. E se tu dai da lavorare a qualcuno al di sotto di quel salario minimo, non è che ti faccio una multa, no, tu vai in galera».

Le reazioni della platea non sono infatti state molto calorose. Forse per questo poi Morando ha rilanciato su un argomento molto più caro agli imprenditori. Partendo dallo stesso assunto – l’accordo Confindustria sindacati sulla rappresentanza, definito «una rivoluzione» perché «consente puntualmente di verificare le regole in base alle quali chi firma che cosa» – Morando ha poi parlato della possibilità di «introdurre una norma per cui il contratto nazionale agisce solo per default, solo dove non si sia in grado di fare un accordo di secondo livello che possa derogare dal contratto nazionale», con il solo limite della legge. «Così aiutiamo la produttività», ha spiegato.

La norma
In realtà la dichiarazione sulla legge sul salario orario minimo di Morando arriva il giorno dopo la presentazione in Senato del testo del disegno di legge delega del ministro Poletti. Il famoso Jobs Act in realtà si chiama «Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive». Ebbene, all’articolo 4 (Delega in materia di riordino delle forme contrattuali) al punto C si legge:«introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato (e quindi non degli autonomi, veri e finti, che ne avrebbero più bisogno, ndr), previa consultazione delle parti sociali». Insomma, la stessa norma annunciata ieri da Morando. E che dovrebbe diventare legge «entro sei mesi», come tutto il provvedimento.

Quattro giorni fa invece il Consiglio dei ministri tedesco ha adottato oggi un disegno di legge che introduce il salario minimo: 8,50 euro lordi l’ora, un livello inferiore a quello francese (9,53 euro) ma un po’ più alto di quello inglese (7,60 euro). Il salario minimo era una delle battaglia più importanti della Spd, partito alleato della cancelliera Angela Merkel. Del salario minimo, secondo i calcoli del governo, profitteranno circa 4 milioni di lavoratori, la maggior parte dei quali impiegati nell’ex Ddr. I neoassunti a tempo indeterminato saranno pagati sotto gli 8,5 euro nei primi sei mesi di lavoro. La norma varrà anche per i diciottenni e per i praticanti nel periodo di formazione. Contro il provvedimento non sono mancate le contestazioni, perché diversi economisti hanno segnalato il rischio che centinaia di migliaia di posti di lavoro vadano persi a causa dei nuovi paletti. La stessa cancelliera Merkel, del resto, ha avallato il progetto senza entusiasmo: era la condizione posta dai socialdemocratici per garantire il loro appoggio all’esecutivo.

«Fine contratto nazionale?»
«Il paragone con la Germania non regge – spiega Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil – . Lì la norma è stata imposta dalla Spd per innalzare i salari dei milioni di giovani che hanno i cosiddetti mini jobs e che consento alle imprese tedesche una concorrenza sleale a livello comunitario. In Germania poi quasi la metà dei lavoratori non ha un contratto nazionale. Da noi invece, quasi tutti i lavoratori hanno un contratto nazionale e un livello salariale definito. Allora la nostra paura – continua Loy – è che il governo stia operando per depotenziare il contratto nazionale, come la seconda parte della dichiarazione di Morando fa capire. Fissare un salario minimo orario per poi dire che il contratto nazionale non serve più. In più nel ddl Poletti si parla di compenso orario minimo anche quando si parla di estendere il lavoro accessorio, i cosiddetti voucher, per le attività lavorative discontinue e occasionali, in tutti i settori produttivi. Insomma – chiude Loy – l’idea del governo sembra essere un lavoro più frammentato e senza contratto nazionale. E noi sindacati non siamo per niente d’accordo».


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