Sì alla legge sul voto di scambio tra proteste ed espulsioni

Sì alla legge sul voto di scambio tra proteste ed espulsioni

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ROMA — Il nuovo articolo del codice penale «416 ter» è legge e verrà applicato alle prossime elezioni europee. Il reato di voto di scambio politico-mafioso riveduto e corretto — con una pena più lieve (da 4 a 10 anni) rispetto al passato (7-12 anni), ma con una forza di applicazione ben più consistente perché punisce lo scambio di «altre utilità» e non solo di denaro — è stato approvato definitivamente dal Senato al termine di una seduta molto movimentata: due i grillini espulsi (Airola e Santangelo), continui richiami del presidente Grasso che comunque ha tenuto l’Aula con fermezza, tensione al limite dello scontro fisico tra i parlamentari del M5S e quelli del Pd, mentre la destra pur votando il provvedimento è rimasta sostanzialmente a guardare lo scontro al calor bianco tra la squadra di Grillo («Fuori la mafia dallo Stato») e quella di Renzi («Siete irresponsabili»). Ed è solo l’antipasto della campagna elettorale.
Per evitare, almeno una volta, il gioco di specchi del chiacchiericcio politico vale la pena anteporre i giudizi che il nuovo «416-ter» ha ricevuto fuori dal Palazzo. Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia: «Abbiamo uno strumento in più contro le mafie che toglie spazio alla zona grigia occupata dai colletti bianchi». Poi c’è il giudice Raffaele Cantone, che ora lavora per il governo come presidente dell’Autorità anticorruzione: «Credo che sia una legge fatta molto bene che punisce quello che deve essere punito e cioè lo scambio delle promesse tra mafiosi e candidati». Cantone, poi, dice di non rimpiangere il testo in cui il Senato (con i voti del Pd e del M5S) aveva inserito in prima lettura il concetto assai vago della «disponibilità» del politico nei confronti della mafia: «La legge è equilibrata perché ha tolto gli aspetti che potevano creare incertezza con riferimento al discorso della disponibilità». Invece storce il naso Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, che pure aveva avuto un abboccamento con Renzi per un incarico di governo: «La pena mi pare troppo lieve rispetto alla gravità del fatto». Per tutti i magistrati ha parlato Rodolfo Sabelli, segretario dell’Anm: «Accolte le nostre richieste». Per gli avvocati penalisti il bicchiere è mezzo vuoto: «Risultato non soddisfacente ma almeno non ha vinto il populismo giudiziario».
È sul differenziale di pena introdotto dalla Camera e poi confermato ieri dal Senato che si è autoalimentata la bagarre. Mario Giarrusso (M5S), che ha citato pure «Andreotti che andava a dare ordini alla mafia», ha accusato «che cosi si è fatto un regalo alla mafia e ai politici che d’ora in poi non rischieranno nulla se prendono accordi con i boss». In realtà quello che scotta di più ai grillini è il dato politico e lo ha detto Alberto Airola (espulso due volte dall’Aula): «Al Senato avevamo raggiunto un buon accordo con il Pd. Invece alla Camera è arrivato il contrordine: l’accordo, al ribasso, si fa con Forza Italia…». La controprova arriva dall’ex pm Felice Casson (Pd): «Votiamo un testo che piace a FI senza cercare l’accordo con il M5S».
Per i grillini, con la pena da 4 a 10 anni i politici verranno trattati con i guanti bianchi. Ma non è così, ha tuonato Anna Finocchiaro (Pd): «È falso che con questa pena sarà impossibile interdire dai pubblici uffici. È falso che questa norma non riesca a coprire l’intera gamma dei comportamenti oggetto di uno scambio politico mafioso». Spiega il sottosegretario Cosimo Ferri (giustizia): «Il politico verrà punito non solo quando offrirà al mafioso del denaro ma anche quando gli prometterà altra utilità come appalti, permessi, licenze posti di lavoro… Il politico sarà punito per il solo fatto di promettere un vantaggio al mafioso». Di sicuro il tema terrà banco in campagna elettorale, e in qualche modo ha già spaccato il fronte Antimafia. Libera di don Luigi Ciotti: «Abbiamo una buona notizia (l’altra utilità) e un errore da correggere (le pene troppo basse)». Mentre Giovanna Chelli (Associazione vittime della strage dei Georgofili) parla di «una norma di pura immagine elettorale» .
Dino Martirano


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