Tagli negli enti locali: gli amministratori pronti alla rivolta

Tagli negli enti locali: gli amministratori pronti alla rivolta

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ROMA — I compiti a casa sostengono di averli già fatti. Sindaci e governatori di Regione stanno cercando di capire in quale misura e con quali modalità verranno chiamati a contribuire al decreto sul bonus in busta paga. La certezza è che il governo Renzi ha chiesto loro di individuare risparmi per beni e servizi indicando il quantum: 700 milioni di euro a carico degli Enti locali, altrettanti a carico delle Regioni. L’ennesima sforbiciata, insomma, non gradita dai destinatari. E poco importa se il taglio non è lineare e si configura come una sollecitazione ad individuare autonomamente dove intervenire con il bisturi. Basta sentire il sindaco di Torino, Piero Fassino, incidentalmente anche presidente dell’Anci (Associazione dei comuni) nonché politicamente prossimo al premier Matteo Renzi. «La manovra ha i suoi pregi, in particolare per la prima volta si restituiscono soldi ai cittadini e si riduce l’Irap, naturalmente la richiesta ai comuni di predisporre ulteriori riduzioni alle spese impone una verifica con il governo», sottolinea, «ci terrei a dire che noi la nostra parte l’abbiamo fatta volentieri e che negli ultimi cinque anni la spesa dei Comuni, a differenza di quella dello Stato centrale e delle Regioni, è diminuita». Agevole, quindi, seguirlo nel ragionamento successivo. «I comuni italiani rappresentano il 7,6% della spesa pubblica complessiva, e il 2,5% del debito pubblico. Osservo che una ripartizione dei risparmi in misura uguale per 700 milioni ciascuno tra Stato, Regioni e Enti locali è squilibrata».
Al tavolo di verifica e confronto sul testo del decreto, che garantisce 80 euro ai lavoratori dipendenti, Fassino si riserva di sollevare un ulteriore questione. «A carico degli Enti locali ci sono 700 milioni, di cui 340 milioni sono in capo ai Comuni. Quest’ultimo importo equivale a quanto il governo centrale deve restituire ai Comuni per gli anticipi di cassa per il mantenimento degli uffici giudiziari dello Stato». Il sindaco di Torino immagina un meccanismo compensativo che, però, farebbe traballare i conti del decreto. In apprensione, del resto, è anche l’assessore al bilancio del Comune di Milano, Francesca Balzani. Il leit motiv è quello di altri amministratori locali. «Una volta ancora si chiedono interventi di riduzione di spesa a un comparto che ha già contribuito in maniera consistente. Il dato è allarmante, basti pensare al taglio dei trasferimenti destinati al Comune di Milano. Nel 2010 erano 728 milioni, nell’ultimo rendiconto sono diminuiti a 462 milioni». Il timore è che a farne le spese siano i cittadini. «Ai comuni, per esempio, è delegato il compito di assicurare le politiche sociali, ma, dopo anni di riduzioni di spesa, tagli e congelamenti, si rischia di non garantire alcuni servizi».
L’altra faccia della medaglia è la tentazione di un aumento delle imposte locali con delle mini manovre per mano dei municipi. Balzani ricorda il caso di Milano. «Ci siamo trovati con uno squilibrio di bilancio di 500 milioni, una situazione che ci ha imposto di varare una manovra fiscale da 200 milioni». Secondo il decreto voluto da Renzi risparmiare rinegoziando i contratti per i servizi e gli appalti, centralizzando gli acquisti, tagliando stipendi e smantellando le municipalizzate (da 8 mila dovranno scendere a mille), non ha alternative. O meglio, ne ha una sola, peraltro, da scongiurare: l’intervento diretto del Commissario alla spending review che predisporrà tagli lineari.
In tutti i casi il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, tiene a rivendicare il lavoro svolto. «Abbiamo chiuso 10 società regionali e ridotto il numero dei consiglieri di amministrazione di conseguenza. La nostra centrale unica per gli acquisti garantisce 170 milioni di risparmi. Le auto blu le abbiamo già passate al setaccio, ora costano 70 mila euro all’anno contro i 245 mila del passato». Quello che serve secondo Zingaretti è un corredo di poteri speciali e transitori per intervenire su contratti in essere e forniture in corso. «Altrimenti ci troveremo impantanati in una lunga serie di contenziosi che rischiano di bloccare l’avvio di un circolo virtuoso». Fassino è ancora più determinato e intende suggerire al governo una misura che imponga a tutti i comuni di non detenere oltre il 35% del capitale delle società municipalizzate. «Una scelta del genere le renderebbe vendibili, appetibili e governabili agli occhi dei privati». Laconico il giudizio sul decreto del Venerdì Santo da parte di Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia. «Quale che sia il colore o l’estrazione del governo di turno, l’esito è sempre lo stesso. Essere amministratori virtuosi alla lunga è penalizzante. I soliti furbi si salvano sempre, mentre agli altri vengono chiesti continuamente sacrifici. E meno male che al governo c’è il partito dei sindaci». A fargli eco è l’assessore Balzani, «chiedere di risparmiare a chi non ha più margini di intervento avvantaggia chi ha finora trascurato di mettere a posto i propri conti».
Andrea Ducci


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