Thyssen, processo da rifare L’ira dei parenti: “Codardi”

Thyssen, processo da rifare L’ira dei parenti: “Codardi”

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ROMA APPELLO da rifare, pene da rivedere. Ieri sera la Cassazione a sezioni unite ha annullato con rinvio le condanne ai manager imputati per il rogo avvenuto nello stabilimento della ThyssenKrupp, a Torino, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, costato la vita a sette operai. Ci sarà un nuovo processo d’appello a Torino per rideterminare le pene degli imputati.
I parenti delle vittime davanti alla Cassazione a Roma “Vergogna, adesso vedrete li salveranno dalla galera con la prescrizione”. Madri, mogli, sorelle, padri con la faccia stanca, fratelli oggi rimasti figli unici. Si sono battuti per sette anni, senza mai perdere un’udienza, sperando di avere giustizia, pur portando nel cuore un lutto che nulla cancellerà. Invece ieri sera nei corridoi deserti della Cassazione è risuonato il grido disperato di Rosina Platì, mamma di Giuseppe, ustionato a morte nel rogo della Thyssen. “Non vogliono che quei maledetti manager e padroni vadano in galera, che ne sanno i giudici di quello che passiamo noi, di cosa vuol dire perdere un figlio”. E Laura Rodinò, sorella di Salvatore, piange di rabbia e di amarezza: “Ma questa è la giustizia italiana? È uno schifo, è come se avessero ammazzato di nuovo mio fratello”. Speravano che fosse la fine di un incubo. Speravano che la Cassazione mettesse la parola fine alla battaglia giudiziaria. Invece no. Si ricomincia. Nei tribunali, e in casa, al proprio dolore privato, alle foto di chi non c’è più da accarezzare con la mano ogni giorno nelle cornici d’ar-
gento.
Parole, ricordi, di sette anni tra aule di tribunali e tragedie personali. Laura Rodinò, uno dei più giovani a perdere la vita in quel maledetto dicembre del 2007, non si dà pace, e oggi dice che al cimitero monumentale di Torino non ci sono soltanto Rosario e i suoi sei compagni. “Lì sotto da pochi mesi c’è anche mio padre, è morto di malattia e di crepacuore, la sua tomba è proprio davanti a quella di Rosario, uno di fronte all’altro, con i fiori freschi che mia madre cambia ogni giorno. La fabbrica, la fabbrica maledetta, papà ci aveva lavorato tutta la vita, e alla fine era entrato anche Rosario, eppure gli dicevo sempre, torna a studiare, sei bravo, prendi il diploma, puoi fare qualcosa di diverso. Troppo tardi. Era il più piccolo di tutti noi e non c’è più. Mentre lui era in agonia all’ospedale ero incinta delle mie due gemelline. Ho avuto paura di perderle mentre lo guardare andare via…”. C’è la mamma di Bruno Santino, aveva la stessa età di Rosario, 26 anni, era il carrellista che corse ad aiutare i compagni della linea cinque investiti dalla valanga di olio. “Quello che mi tormenta è che per Bruno era l’ultima settimana di lavoro, sapeva che la Thyssen stava per chiudere, voleva dare le dimissioni, il suo sogno era fare il barista, si era fidanzato da poco…Quando tornavo a casa stanca mi abbracciava, mi diceva ci penso io, mamma riposati. Comunque ce li hanno ammazzati due volte: quella notte in fabbrica e poi con questa giustizia ingiusta”. Antonio Boccuzzi ex operaio Thyssen, è l’unico dei sopravvissuti della notte tra il 5 e il 6 dicembre, quando tutti i suoi compagni vennero ustionati a morte. Oggi è deputato del Pd. E commenta. “Speravamo che questa sentenza facesse giurisprudenza, che fosse davvero una sentenza esemplare, prima di tutto per i nostri amici che sono bruciati vivi in una fabbrica che tempo non era sicura. E poi per cambiare veramente le leggi in questo paese, dove invece anche in questi anni in Parlamento abbiamo dovuto sventare più di un progetto di legge volto proprio a salvare i manager della Thyssen”.
Nella notte davanti alla Cassazione i volti disfatti dei familiari delle vittime della Thyssen: “Bastardi giudici, siete dei bastardi”.



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