Ucraina A Kiev incendiata la sede del Partito comunista
Nella consueta tensione degli ultimi giorni, l’attenzione in Ucraina si sposta da est, dove proseguono le attività e le occupazioni dei ribelli filo Mosca, a Kiev. Nella notte tra mercoledì e giovedì è stata incendiata la sede del Partito Comunista ucraino della capitale, precedentemente occupato e utilizzato dai manifestanti di Majdan.
Durante i giorni delle proteste, tra l’altro, c’era anche stato un attentato incendiario nei pressi dell’abitazione del leader comunista Petro Simonenko. Il gesto segue di alcuni giorni la scazzottata violenta andata in scena in parlamento tra comunisti e fascisti di Svoboda. E in risposta all’incendio, di natura dolosa, i parlamentari comunisti hanno annunciato che non torneranno sui banchi della Rada, fino a che non verranno chiarite le circostanze dell’episodio.
Non mancano le novità dall’est e dal sud del paese. Ieri a Mikolaiv, nella parte meridionale, da giorni al centro di iniziative filo russe, sull’onda di quanto sta accadendo nel Donbass, dichiarata repubblica popolare e per cui è stato indetto un referendum per l’indipendenza il prossimo 11 maggio, Oleg Tsariov, un candidato presidente filorusso, da poco espulso dal partito delle Regioni (ex movimento politico del deposto Viktor Yanukovich) assieme ad altri due «notabili regionalisti» sarebbe stato aggredito e picchiato da un gruppo di sostenitori di Majdan.
La sua colpa sarebbe stata quella di essersi candidato come «indipendentè alle elezioni del 25 maggio». I sostenitori delle nuove autorità ucraine — secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, gli avrebbero bloccato il passaggio, accusandolo di incitare i separatisti a scendere in piazza. È uno dei tanti episodi segnalati in questi giorni, in alcuni casi aggressori e vittime sono ribaltati, che indicano una situazione che potrebbe degenerare da un momento all’altro.
Come specificato da Mosca il rischio guerra civile continua a opprimere la vita politica del paese, mentre la situazione economica prosegue la sua marcia a tappe forzate verso l’austerity e il rischio di bancarotta del paese. A Kiev e soprattutto nelle regioni occidentali, quelle più vicine all’Europa, ma anche quelle più in difficoltà economica, la vita continua a costare sempre di più e le prossime misure che verranno prese dal governo cominciano a preoccupare anche quelle fasce sociali che in un primo momento aveva supportato la rivolta di Majdan. Data la situazione generale, di tensione e preoccupazione economica, la diplomazia riacquista una funzione fondamentale, mentre da un punto di vista puramente politico, al momento, la soluzione federalista proposta da Mosca, potrebbe essere l’unica in grado di evitare, quanto meno, il baratro di un pericoloso e tragico conflitto interno.
In preparazione dell’incontro a quattro della prossima settimana, però, non mancano le schermaglie; ognuno utilizza le tattiche che reputa migliori per arrivare «forti» ad un eventuale tavolo dei negoziati. Così Kiev ha provato ad ovviare alla rivolta delle città orientali prospettando una soluzione, l’amnistia agli arrestati filorussi, se gli attivisti decideranno di abbandonare la via della protesta, delle occupazioni e delle armi. Intervenendo in parlamento, il presidente ad interim Turchynov ha dichiarato che «se le persone consegnano le armi e liberano gli edifici amministrativi» non ci sarà alcuna azione giudiziaria.
Il capo di Stato si è quindi detto «pronto a firmare un decreto presidenziale» in tal senso. Gli insorti filorussi armati, che lo stesso Turchynov ha definito nei giorni scorsi «terroristi», hanno ancora in mano il palazzo dell’amministrazione regionale di Donetsk e la sede dei servizi segreti (Sbu) di Lugansk. Mosca dal canto suo ha invece accusato la Nato di violare «i principi dell’ atto base della dichiarazione di Vienna» rafforzando la propria presenza ai confini con la Russia. E Putin ha invitato i partner europei a tenere «immediate consultazioni» per stabilizzare l’economia ucraina e garantire le forniture e il transito del gas russo.
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