Cgil a congresso senza unità

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La Cgil arriva a cele­brare il suo XVII Con­gresso, da oggi a gio­vedì a Rimini, in un momento di grande dif­fi­coltà. Non solo per i sin­da­cati, ma più in gene­rale per i diritti del lavoro, in Ita­lia e in Europa. Susanna Camusso verrà ricon­fer­mata per altri 4 anni alla guida di un colosso che conta 5,7 milioni di iscritti, ma al prezzo di lace­ra­zioni interne e scon­tri – prin­ci­pal­mente con la Fiom di Mau­ri­zio Lan­dini, ma non solo – che a mala­pena si rie­scono a insab­biare sotto il tap­peto di un con­senso alla mag­gio­ranza che nei dati uffi­ciali è bul­garo: al 97,6%. Senza par­lare poi del rap­porto con il pre­mier Mat­teo Renzi e con larga parte del Pd, ogni giorno più teso e difficile.

Renzi ha già fatto sapere che non sarà pre­sente al Con­gresso, come d’altronde non pre­sen­zierà il 29 mag­gio all’Assemblea annuale di Con­fin­du­stria. Camusso ieri ha spie­gato che in realtà il sin­da­cato «non ha mai avuto una rispo­sta uffi­ciale da Palazzo Chigi», ma che comun­que «non è un pre­si­dente del con­si­glio a legit­ti­mare un con­gresso»: «È già suc­cesso altre volte, con altri pre­mier, ma certo non è sim­bolo di rispetto per le grandi orga­niz­za­zioni dei lavoratori».

I motivi dell’assenza di Renzi sono almeno due: il pre­mier non vuole essere iden­ti­fi­cato, sotto ele­zioni, con le asso­cia­zioni di rap­pre­sen­tanza, per­ché per­ce­pite da un sem­pre più vasto pub­blico (basti pen­sare ai gril­lini, ma anche a tanti pre­cari) come con­ser­va­trici e difen­sori dei «garan­titi» (se garan­tito oggi si vuol defi­nire chi ha un tempo inde­ter­mi­nato o una pen­sione). Inol­tre, l’accoglienza a nean­che 20 giorni dal voto non sarebbe certo trion­fale: se è vero che gli 80 euro alla Cgil piac­ciono, dall’altro lato il decreto Poletti è stato aspra­mente contestato.

Que­sto sul fronte, per così dire, “poli­tico”. Ma la Cgil è anche il mag­giore sin­da­cato ita­liano, e quindi – nel bene e nel male – è sem­pre pie­tra di para­gone per le altre orga­niz­za­zioni. Se i rap­porti con i sin­da­cati di base sono quasi ine­si­stenti, se non di aperta osti­lità, quelli con Cisl e Uil sono invece fon­da­men­tali: la segre­ta­ria ha fatto del legame con Bonanni e Ange­letti uno dei pila­stri del suo primo man­dato, a volte anche a dispetto di un con­te­sto gene­rale che sug­ge­riva altre mosse. Le mobi­li­ta­zioni (salvo che per le crisi indu­striali) nell’ultimo anno sono scese quasi a zero, per­ché gli altri due sin­da­cati non si muo­vono. E anche sul decreto Poletti e su una immi­nente (annun­ciata) ver­tenza per rifor­mare le pen­sioni, l’ordine di scu­de­ria è quello di aspet­tare i due alleati.

Infine c’è il fronte più squi­si­ta­mente interno, e qui apriti cielo. La Cgil giunge spac­cata, lace­rata, al Con­gresso, men­tre fino a Natale 2013 ci si aspet­tava un’assise uni­ta­ria, quasi per­fino noiosa. A rav­vi­vare i gio­chi – e a sca­te­nare lo scon­tro – è arri­vato lo scorso gen­naio il Testo unico sulla rap­pre­sen­tanza, un accordo fir­mato da Camusso con Cisl, Uil e Con­fin­du­stria, che non è pia­ciuto alla Fiom di Mau­ri­zio Landini.

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Lan­dini, già noto media­ti­ca­mente, è diven­tato nell’immaginario di molti l’“anti-Camusso”. Lo scon­tro è stato duris­simo, e in mezzo ci si sono messi per­fino Renzi e Grillo, nell’intenzione di con­qui­stare tanti iscritti al sin­da­cato oggi in cerca di nuovi rife­ri­menti poli­tici. Si è par­lato di un asse Renzi-Landini, basato su una pre­sunta sin­to­nia dei due nel voler cam­biare il Paese: abbat­tendo le «buro­cra­zie fre­nanti», di cui Camusso sarebbe un sim­bolo. Non a caso Lan­dini non esclude di rifor­mare la Cgil con le primarie.

Stesso discorso per Grillo, che se in diversi post ha detto peste e corna di Cgil, Cisl e Uil, defi­nen­doli «sepol­cri imbian­cati», ha invece mostrato più indul­genza e sim­pa­tia verso la Fiom, per­ce­pita come più vicina ai pre­cari e agli esclusi.

Certo che il fee­ling Landini-Renzi, però, comin­cia a vacil­lare. In un’intervista a Repub­blica, ieri, il segre­ta­rio Fiom ha riba­dito tutti i suoi motivi di apprez­za­mento per il pre­mier (a par­tire dagli 80 euro: «Io in un solo rin­novo non sono mai riu­scito a fare quella cifra»), ma ha anche ricor­dato di aver scritto una let­tera piena zeppa di richie­ste, «per una nuova poli­tica indu­striale e sociale»: «Ma su que­sto piano – ha detto – non vedo ele­menti di novità». La richie­sta prin­cipe della Fiom, quella per una legge sulla rap­pre­sen­tanza, Renzi dopo varie pro­messe pare averla messa nel cas­setto: e così Lan­dini, se non riu­scirà a spa­ri­gliare dopo le ele­zioni, rischia di aver dato fidu­cia al pre­mier ma di restare con il cerino in mano.

D’altronde, anche gli equi­li­bri den­tro la Cgil adesso si gio­cano su un cri­nale deli­ca­tis­simo. Camusso si è appunto blin­data nel 97,6% di voti al docu­mento I (quello che porta anche la firma di Lan­dini) e nel 95% del sì al Testo unico: con­sul­ta­zione senza i dati Fiom, unendo i quali, si arriva comun­que a un 66% a favore della segre­ta­ria (ma la Fiom ha fatto votare anche i non iscritti). Come se non bastasse, la pla­tea dei dele­gati for­mata per il Con­gresso (e che eleg­gerà il nuovo Diret­tivo, che a sua volta con­fer­merà Camusso segre­ta­ria) è stata for­mata secondo la Fiom e altri pezzi di mino­ranza in modo «truf­fal­dino», per­ché non sarebbe stato pesato in modo equo il voto sugli emendamenti.

Quindi, con­clude Lan­dini, «oggi non vedo le con­di­zioni per­ché si possa chiu­dere uni­ta­ria­mente». Dif­fe­renti liste per il Diret­tivo, dun­que, una mag­gio­ranza più risi­cata e meno “bul­gara” per Camusso segre­ta­ria, e nes­sun posto per la Fiom (come è già stato per l’ultimo qua­drien­nio) nella nuova segre­te­ria confederale.



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