Il cuore nero del Vecchio continente
I numeri che fanno davvero paura riguardano il futuro. A pochi giorni dalle elezioni europee, e in Gran Bretagna le urne si apriranno già domani, in almeno tre paesi del Vecchio continente le destre populiste e anti-immigrati sono date in testa in tutti i sondaggi. A Londra, Parigi e l’Aja, rispettivamente lo United Kingdom Independence Party (Ukip), il Partito per l’indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage, il Front National di Marine Le Pen e il Partij voor de Vrijheid, Partito per la libertà di Geert Wilders, viaggiano tra il 20 e il 30% dei consensi. Ma il fenomeno riguarda gran parte dei paesi della Ue.
Annunciato come un referendum pro o contro Bruxelles, il voto del 25 maggio rischia di trasformarsi in una piena legittimazione di quanto di peggio sta maturando nelle viscere d’Europa. Giorno dopo giorno, sulla mappa politica continentale monta la tempesta che soffia con violenza dalle regioni scandinave, trasformate in una sorta di laboratorio sociale delle nuove destre, a quelle mediterranee.
In Austria, i liberal-nazionali della Fpö di Heinz Christian Strache, l’erede politico di Jörg Haider, sono stimati intorno al 20%. Stessa percentuale per l’estrema destra di Jobbik in Ungheria, mentre in Finlandia e Svezia populisti e xenofobi si muovono intorno al 17 e al 7% dei consensi. Nella regione belga delle Fiandre la partita è addirittura a due: gli indipendentisti razzisti del Vlaams Belang, stimati sotto il 10%, e la Nuova alleanza fiamminga che potrebbe raccogliere oltre il 25% dell’elettorato. E non è tutto. Perfino i neonazisti greci di Alba Dorata, che nelle amministrative di domenica scorsa ad Atene hanno conquistato un elettore su cinque, sono dati al 10%. Intanto, a casa nostra, il restyling pro-Le Pen voluto da Matteo Salvini, ha riportato la Lega oltre il 5% delle intenzioni di voto nel segno di un «no euro» che fa rima con il «no all’immigrazione».
Perché se c’è una cosa che tiene insieme forze politiche tra loro anche molto diverse (nel futuro parlamento europeo un gruppo comune riunirà Le Pen, Wilders, Strache, Salvini, fiamminghi e svedesi) è l’aver affiancato a una critica radicale della politica di Bruxelles, fino alla richiesta di uscita dalla Ue o di abbandono della moneta unica, una posizione altrettanto intransigente in tema di immigrati e chiusura delle frontiere. Se non si tratta di una novità per il Front National o la Lega che hanno costruito le proprie fortune sulla «preferenza nazionale» e la xenofobia, non può passare inosservata la torsione in odore di razzismo degli euroscettici inglesi dello Ukip fin qui presentati come più «moderati», spesso blanditi dai Conservatori di David Cameron come dall’ala destra del Partito popolare europeo. Eppure, proprio Nigel Farage, uomo del giorno della politica britannica che dice di ispirarsi a Margaret Thatcher, sembra parlare proprio come quella Marine Le Pen cui non vuole assolutamente essere accostato: «Vogliamo restare inglesi, questa è una piccola isola in cui non c’è più posto per nessuno».
Alla fine, è molto probabile che le differenze ideologiche avranno comunque ragione delle similitudini del vocabolario e che euroscettici, populisti, estremisti di destra, razzisti e «identitari» di ogni sorta non formeranno, a parte le eccezioni citate, un unico blocco a Bruxelles. Resta il fatto che tra un terzo e un quarto dei cittadini dei 28 paesi dell’Unione voteranno con ogni probabilità per una di queste formazioni.
I «numeri» del voto ci restituirebbero così la fotografia di un continente malato di intolleranza che è già stata illustrata da tutte le più recenti indagini sui sentimenti degli europei nei confronti di ogni «diversità» o minoranza.
Solo qualche giorno fa, ad esempio, l’istituto statunitense Pew Research ha diffuso gli sconcertanti risultati di un sondaggio che evidenzia la deriva in atto e che per altro attribuisce all’Italia il poco invidiabile primato del pregiudizio razziale tra i paesi dello spazio Ue. Dati che non possono non suscitare inquietudine. Scorrendoli, si scopre infatti che il 66% dei francesi e il 50% per cento degli inglesi si dice esplicitamente ostile ai rom (in Italia si arriva all’85%), che il 47% dei greci nutre altrettanta «antipatia» per gli ebrei, che il 50% dei polacchi, il 46% degli spagnoli e il 33% dei tedeschi non sopporta i musulmani. E che la maggioranza del campione intervistato in sette paesi comunitari è ostile all’immigrazione.
L’allarme non è nuovo, ma non ha fatto che aumentare d’intensità negli ultimi anni. La Rete europea contro il razzismo nel suo più recente «rapporto ombra» ha denunciato l’incremento di violenze e crimini razzisti: ben 10 i rom uccisi dai neonazisti nella Repubblica Ceca e in Ungheria nello spazio di qualche anno. L’Agenzia Ue per i diritti fondamentali ha evidenziato il ritorno dell’antisemitismo: il 76% degli appartenenti alle comunità ebraiche di 8 paesi europei ha raccontato dell’aggravarsi degli atteggiamenti nei loro confronti. E Amnesty International ha messo l’accento sul crescere nella società europea di una «diffusa islamofobia».
Eppure, dai trattati di Amsterdam e Nizza, fino al «Patto per un’Europa delle diversità» sottoscritto dopo gli attacchi alla ex ministra italiana Cecile Kyenge, la Ue non ha mai mancato di prendere posizione contro il razzismo. Peccato che alle parole siano difficilmente seguiti i fatti e che più che a combattere davvero i populismi xenofobi, ci si sia spesso mostrati interessati a «recuperare» a qualunque prezzo il loro folto elettorato.
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