Euronomine, la corsa in salita di Juncker

by redazione | 28 Maggio 2014 8:16

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BRUXELLES — Diventa più complicata la trattativa per assegnare le più importanti europoltrone nel nuovo mandato quinquennale della Ue. Nella cena post-elezioni europee dei 28 capi di Stato e di governo a Bruxelles, che avrebbe dovuto decidere almeno il successore del portoghese José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto capire che ci vorrà più tempo. Merkel ha ottenuto, come soluzione di compromesso, un mandato esplorativo per la ricerca di una maggioranza politica al presidente stabile del Consiglio dei governi, il belga Herman Van Rompuy, in collaborazione con il lussemburghese Jean-Claude Juncker, primo con il suo Ppe tra i candidati al vertice della Commissione presentati dai principali europartiti alle europee.
In questo modo Merkel prova a evitare uno scontro istituzionale. Perché i governi intendono continuare a scegliere il presidente della Commissione, mentre l’Europarlamento non vuole limitarsi più solo ad approvarlo e difende il suo inserimento nelle trattative in nome del rispetto della volontà degli elettori. Ma c’è anche un problema politico. I popolari del Ppe, cui aderiscono Merkel e Juncker, hanno vinto senza raggiungere la maggioranza. Hanno bisogno dei secondi, i socialisti di S&D, che avevano candidato il tedesco Martin Schulz per la Commissione. In più, settori del Ppe diffidano dei membri di Forza Italia di Silvio Berlusconi e Fidesz del premier ungherese Viktor Orbán. Vorrebbero non dipendere dai loro voti, che possono essere decisivi nei numeri interni. Preferiscono così associare anche i terzi arrivati, gli euroliberali dell’Alde, che avevano presentato il belga Guy Verhofstadt per succedere a Barroso. La spartizione delle euronomine deve quindi considerare gli appetiti di due/tre diversi schieramenti con le rispettive componenti nazionali, spesso difficili da accontentare.
Al momento Merkel e altri leader del Ppe difendono Juncker come candidato alla presidenza della Commissione. Il premier britannico David Cameron però si oppone perché lo considera troppo federalista: «No a uomini del passato». I socialisti pretendono per Schulz un portafoglio rilevante nella stessa istituzione. Verhofstadt, se i liberali entrano nella maggioranza, vorrebbe una terza poltrona. Ma i giochi restano apertissimi per vari outsider. Anche perché devono essere bilanciati con la scelta del nuovo presidente stabile del Consiglio dei governi, dove Van Rompuy è in scadenza. E con la presidenza del nuovo Europarlamento, in genere divisa in due mandati per avere più margini di compensazione. Nella trattativa complessiva rientrano i principali portafogli della Commissione, a partire dagli Affari economici, dall’Antitrust e dagli Esteri, che consentono di pilotare contemporaneamente le relazioni esterne Ue per conto del Consiglio dei governi. C’è poi la guida dell’Eurogruppo dei ministri finanziari. L’Italia, avendo Mario Draghi al vertice della Bce, è fuori dalla corsa per la presidenza della Commissione, del Consiglio e, di fatto, anche dell’Eurogruppo. Il successo del premier Matteo Renzi alle europee, che ha reso il Pd principale partito del gruppo eurosocialista, apre possibilità per la presidenza dell’Europarlamento e per un portafoglio di peso alla Commissione. Tra l’altro Renzi deve inviare rapidamente un commissario a Bruxelles perché l’attuale, Antonio Tajani, è in uscita anticipata per occupare da luglio il seggio conquistato a Strasburgo con Forza Italia. Il nuovo arrivato verrebbe confermato dal prossimo presidente della Commissione, che solo formalmente sceglie i membri più influenti del suo collegio. In genere provengono dal «mercato delle vacche» tra i governi più potenti e, da stavolta (probabilmente), anche tra i principali partiti. Perché dalla riunione dei capi di Stato e di governo, che si è conclusa rinviando tutto al summit del 26 giugno, la volontà generale di «cambiare l’Europa» non appare per ora includere la fine della lottizzazione fondata sull’appartenenza e sulla provenienza dei candidati, più che sulla loro competenza e capacità.
Ivo Caizzi

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