Europa Un governo antagonista

Europa Un governo antagonista

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Il taglio è sto­rico, la visuale glo­bale. È così, col­lo­can­dola nella sto­ria con­tem­po­ra­nea del capi­ta­li­smo mon­diale, che Karl Heinz Roth e Zis­sis Papa­di­mi­triou, affron­tano l’analisi della crisi euro­pea che stiamo vivendo e degli stru­menti che sono stati messi in campo per gover­narla (Mani­fe­sto per un’ Europa egua­li­ta­ria, Deri­veAp­prodi, pp.144, euro 12). Rico­struendo, tappa dopo tappa, la mar­cia trion­fale del «radi­ca­li­smo di mer­cato», fin dai primi passi mossi negli anni Settanta.

È la sto­ria di una lunga guerra con­dotta dalle oli­gar­chie con­tro le classi subal­terne che ha pro­gres­si­va­mente can­cel­lato quella cul­tura, pra­tica e teo­rica, del com­pro­messo che era stata alla base delle poli­ti­che key­ne­siane. Scar­di­nando, uno dopo l’altro, i fat­tori di blocco o di resi­stenza al pro­cesso di accu­mu­la­zione e otte­nendo il risul­tato di una enorme con­cen­tra­zione della ric­chezza nelle mani delle éli­tes. Gra­zie anche a un sistema di tas­sa­zione che con la sfac­ciata com­pli­cità del ceto poli­tico favo­riva i patri­moni a sca­pito dei salari e dei consumi.

Nean­che il più con­vinto apo­lo­geta del libe­ri­smo potrebbe più negare le con­se­guenze deva­stanti, per grande parte della popo­la­zione, dell’annullamento di ogni prin­ci­pio di redi­stri­bu­zione, in ter­mini sala­riali o di pre­sta­zioni dello stato sociale.

NUOVI IMPE­RIA­LI­SMI

Le cir­co­stanze sto­ri­che che hanno accom­pa­gnato que­sto pro­cesso, sono state essen­zial­mente lo sfal­da­mento del blocco orien­tale e lo spo­sta­mento degli inte­ressi stra­te­gici degli Stati Uniti verso l’area del Paci­fico, non­ché il rap­porto con la tumul­tuosa espan­sione dell’impero eco­no­mico cinese e delle altre eco­no­mie asiatiche.

Que­sti fat­tori hanno signi­fi­cato per l’ Europa un radi­cale cam­bia­mento del mer­cato delle merci e di quello del lavoro. E hanno favo­rito il ruolo ege­mo­nico della Ger­ma­nia riu­ni­fi­cata nel qua­dro di quello che gli autori vedono come un nuovo «impe­ria­li­smo euro­peo» con pro­pri spe­ci­fici tratti e inte­ressi. Il ter­mine è tut­ta­via pro­ble­ma­tico, tanto per l’insuperata inte­gra­zione dell’Europa nella sfera geo­po­li­tica e mili­tare degli Stati Uniti, quanto per gli squi­li­bri e le ten­sioni che attra­ver­sano l’Unione europea.

Infine per il fatto che l’espansione verso est e la com­pe­ti­ti­vità delle eco­no­mie cen­tro­set­ten­trio­nali non hanno recato alle classi subal­terne nes­suno dei clas­sici bene­fici con­nessi all’esercizio di una potenza «impe­riale». Sem­mai, al con­tra­rio, hanno favo­rito il dum­ping sociale e il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di vita e di lavoro. In par­ti­co­lare la com­pe­ti­ti­vità tede­sca è stata costruita, anti­ci­pando tutti gli altri, attra­verso un dra­stico ridi­men­sio­na­mento del wel­fare e la crea­zione di un ampio bacino di lavoro pre­ca­rio e sot­to­pa­gato. Ad opera della mag­gio­ranza rosso-verde all’inizio degli anni Due­mila. Lad­dove, per dirla con gli autori, «l’idea socialdemocratico-keynesiana della piena occu­pa­zione venne sosti­tuita da un modello di piena sotto-occupazione (…) che, sep­pur ai minimi ter­mini, rimase inte­grata nel sistema sociale».

Su que­sto punto la posi­zione di Roth e Papa­di­mi­triou è asso­lu­ta­mente chiara: sono state le sini­stre dell’establishment poli­tico i prin­ci­pali attori dell’assoggettamento delle classi più sfa­vo­rite alle nuove con­di­zioni dell’accumulazione capi­ta­li­stica. Da que­ste forze hanno avuto ori­gine le poli­ti­che di auste­rità e la disci­plina inter­clas­si­sta dell’«unità nazio­nale» ancor prima che Mar­ga­ret That­cher e Ronald Rea­gan cele­bras­sero i pro­pri trionfi e molto prima che la cosid­detta Troika det­tasse le sue regole ai paesi inde­bi­tati dell’Unione europea.

A que­sta con­ver­sione della social­de­mo­cra­zia e dei verdi (in par­ti­co­lare i Grue­nen tede­schi) al «radi­ca­li­smo di mer­cato» e alla com­pe­ti­ti­vità nazio­na­li­sta, non­ché al fal­li­mento del mode­ra­ti­smo euro­co­mu­ni­sta, gli autori ricon­du­cono la crisi sem­pre più pro­fonda e irre­ver­si­bile della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva: «la più estesa mar­gi­na­liz­za­zione isti­tu­zio­nale della mag­gio­ranza della società» che si sia vista nelle demo­cra­zie del dopo­guerra. Accen­tuata per di più da quella «vita messa al lavoro» o alla ricerca di un sosten­ta­mento che rende la mili­tanza poli­tica un lusso.

FUORI DALLE NAZIONI

C’è poi un altro punto di rife­ri­mento clas­sico del movi­mento ope­raio che cade vit­tima della com­pe­ti­zione glo­bale e delle leggi del capi­tale finan­zia­rio: lo stato. «La classe lavo­ra­trice – scri­vono i due autori – non ha con­qui­stato lo stato nazio­nale: è stata spesso inte­grata ad esso» con­tro i pro­pri inte­ressi e a sca­pito della pro­pria auto­no­mia e libertà, come ci mostra una lunga e incon­fu­ta­bile espe­rienza. Nel mondo della restau­ra­zione neo­li­be­ri­sta, lo stato si fa mac­china di com­pe­ti­zione sul mer­cato mon­diale e garante fiscale della ren­dita finan­zia­ria, tanto più effi­ciente quanto meno spa­zio con­ce­derà ai biso­gni e alle aspi­ra­zioni della popo­la­zione, deter­mi­nando così una dra­stica «desta­ta­liz­za­zione delle con­di­zioni di vita subalterne».

La con­ver­sione neo­li­be­ri­sta e post­de­mo­cra­tica dei par­titi della sini­stra e del potere sta­tale con­fi­gura dun­que uno sce­na­rio nel quale ogni ipo­tesi di eman­ci­pa­zione o di con­tra­sto al gene­rale impo­ve­ri­mento della mag­gio­ranza non può che svol­gersi fuori e con­tro i par­titi e le isti­tu­zioni degli stati nazio­nali. La pro­po­sta di Roth e Papa­di­mi­triou sarà dun­que trans­na­zio­nale e rivoluzionaria.

Essa pog­gia sull’idea di una archi­tet­tura fede­rale dell’Europa che a par­tire dai comuni, rag­grup­pati in «can­toni» e poi in regioni (fon­date su paren­tele sto­ri­che, geo­gra­fi­che e cul­tu­rali) dia vita a una Fede­ra­zione nella quale le sovra­nità nazio­nali scom­pa­iano e gli squi­li­bri siano com­pen­sati da poli­ti­che egua­li­ta­rie. È l’immagine sug­ge­stiva di una sorta di auto­go­verno con­si­liare su lar­ghis­sima scala che attra­verso lo stru­mento della demo­cra­zia diretta con­tra­sti la logica e la pra­tica dell’accumulazione capitalistica.

C’è però sem­pre un ele­mento di for­za­tura e di sia pur gene­roso idea­li­smo nel trac­ciare i con­torni di una futura società giu­sta. Tanto più quando incerto è il come rove­sciare i rap­porti di forze che sosten­gono l’assetto attuale, e pro­ble­ma­tico l’agire di con­certo delle mol­te­plici sog­get­ti­vità poli­ti­che «anti­si­stema», a geo­me­tria varia­bile, che pur rive­lano una cre­scente e par­te­ci­pata pre­senza. Forse è nel corso di un pro­cesso di lotte meno coe­rente e più impre­ve­di­bile che l’Europa sociale pren­derà forma. Anche se diversi obiet­tivi sono chia­ra­mente indi­cati in que­sto Mani­fe­sto per una Europa egua­li­ta­ria. Primo fra tutti il rifiuto di quelle sovra­nità nazio­nali che più volte hanno con­dotto l’Europa in un bara­tro e che, con­ver­tite al «radi­ca­li­smo di mer­cato», con­ti­nuano a farlo in nuove forme.



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