Expo, la caccia al ladro che non tocca il sistema

Expo, la caccia al ladro che non tocca il sistema

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Di nuovo arre­sti eccel­lenti e rela­zioni peri­co­lose ecla­tanti. Addi­rit­tura – almeno in parte – gli stessi nomi di vent’anni fa. E, con essi, le forze poli­ti­che eredi dei par­titi pro­ta­go­ni­sti di Tan­gen­to­poli. Vent’anni fa il ter­reno pri­vi­le­giato della cor­ru­zione era il Metrò, oggi è Expo 2015, che si aggiunge al sistema sani­ta­rio lom­bardo, alle muni­ci­pa­liz­zate romane, all’alta velo­cità fer­ro­via­ria toscana, alla atti­vità del Monte dei Paschi di Siena per limi­tarsi alle vicende più recenti e cono­sciute.
Nulla è cam­biato, anche se alcuni edi­to­ria­li­sti indi­pen­denti si affan­nano a spie­gare che è dimi­nuita l’entità delle per­cen­tuali richie­ste nel rap­porto cor­rut­tivo e che gli arric­chi­menti per­so­nali pre­val­gono sul forag­gia­mento del sistema poli­tico (sic!).

A fronte di ciò il Pre­si­dente del Con­si­glio ina­nella bana­lità: «Se ci sono pro­blemi con la giu­sti­zia, si devono fer­mare i respon­sa­bili e non le grandi opere»; «l’Italia è molto più grande delle nostre paure, è molto più bella delle nostre pre­oc­cu­pa­zioni». Incre­di­bile ma vero, e, a seguire, l’ennesima ope­ra­zione di maquil­lage, con la nomina di un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio di cui, tra l’altro, non si cono­scono i poteri.
Benis­simo: fer­miamo i respon­sa­bili e non le grandi opere! Ma pos­sono – per favore – il pre­si­dente del Con­si­glio e il suo bril­lante entou­rage spie­garci per­ché ciò non è stato fatto negli ultimi trent’anni (e si potrebbe andare molto più addie­tro, ché già nel 1916 Vil­fredo Pareto denun­ciava che all’origine di tutti i grandi patri­moni ci sono atti­vità ille­cite con­nesse con gli appalti gover­na­tivi, le opere fer­ro­via­rie e le imprese pub­bli­che)?
L’inerzia al riguardo è stata tale da indurre Pier­ca­millo Davigo, uno dei pub­blici mini­steri pro­ta­go­ni­sti di Mani pulite a dichia­rare che «per l’attività di con­tra­sto alla cor­ru­zione in Ita­lia potrebbe rive­larsi addi­rit­tura pro­fe­tico quanto Joseph Roth scri­veva a pro­po­sito della pro­ta­go­ni­sta di uno dei suoi rac­conti: ’Nes­suno aveva desi­de­rato che restasse in vita e per­ciò era morta’».

Abbiamo da decenni una cor­ru­zione che costa ai cit­ta­dini oltre ses­santa miliardi di euro l’anno. Paral­le­la­mente i costi della poli­tica sono aumen­tati in modo espo­nen­ziale e la cam­pa­gna elet­to­rale del 2008 è costata, nel nostro paese, dieci volte di più di quella del 1996. E così dif­fi­cile ipo­tiz­zare che tra i due feno­meni ci sia un nesso? Non aveva eluso il pro­blema – né aveva usato luo­ghi comuni ras­si­cu­ranti – Enrico Ber­lin­guer che, già in una famosa inter­vi­sta del 1981, aveva segna­lato, con effi­ca­cia e lun­gi­mi­ranza, che «la que­stione morale non si esau­ri­sce nel fatto che, essen­doci dei ladri, dei cor­rotti, dei con­cus­sori in alte sfere della poli­tica e dell’amministrazione, biso­gna sco­varli, biso­gna denun­ciarli e biso­gna met­terli in galera. La que­stione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei par­titi gover­na­tivi e delle loro cor­renti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la con­ce­zione della poli­tica e con i metodi di governo di costoro, che vanno sem­pli­ce­mente abban­do­nati e supe­rati. Ecco per­ché dico che la que­stione morale è il cen­tro del pro­blema ita­liano». Dif­fi­cile non cogliere l’abissale dif­fe­renza tra l’analisi dell’allora segre­ta­rio del Pci (avva­lo­rata dalla sto­ria degli anni suc­ces­sivi) e le spen­sie­rate ras­si­cu­ra­zioni dell’attuale segre­ta­rio del Pd e pre­si­dente del Consiglio.

Ma non è un caso. Ricordo due episodi.

Il primo, poco più di un anno fa quando venne arre­stata la pre­si­dente di Ital­ferr ed ex pre­si­dente della Regione Umbria, Maria Rita Loren­zetti. Con l’accusa di essere al cen­tro di uno scam­bio di favori ille­citi (elar­gi­zione di inca­ri­chi, van­taggi per gli amici, attri­bu­zioni di con­su­lenze etc.) ruo­tanti intorno ai lavori per il tun­nel desti­nato al pas­sag­gio dei treni super­ve­loci sotto il cen­tro di Firenze (in un con­te­sto in cui – guarda caso – il costo delle linee Tav nel nostro paese supera di sei-sette volte quello di Fran­cia, Spa­gna o Giap­pone). Nes­suno parve sor­pren­dersi: nep­pure del fatto che la potente nota­bile Pd defi­nisse “ter­ro­ri­sta” l’onesto fun­zio­na­rio regio­nale che si osti­nava a chia­mare i “rifiuti” con il loro nome…

Il secondo si rife­ri­sce a qual­che mese dopo quando mi accadde di par­te­ci­pare a un semi­na­rio in cui Alberto Van­nucci (autore di un pre­zioso “Atlante della cor­ru­zione”, pub­bli­cato nel 2013 per le Edi­zioni Gruppo Abele) richiamò l’analisi di Ber­lin­guer e citò, a soste­gno, San­dro Per­tini. Nel 1974, all’epoca del primo scan­dalo dei petroli, richie­sto se riu­scisse a ren­dere par­te­cipi della pro­pria intran­si­genza al riguardo i suoi com­pa­gni socia­li­sti, Per­tini rispose: «Mica sem­pre. Mi accu­sano di non avere sou­plesse. Dicono che un par­tito moderno si deve ade­guare. Ma ade­guarsi a cosa, santa madonna?». Ebbene, il com­mento rega­lato ai pro­pri vicini da un poli­tico emer­gente, oggi mini­stro del Governo Renzi, fu elo­quente: «Che palle! Ancora cita­zioni di trenta o qua­ranta anni fa, come se da allora non fosse cam­biato niente!».

Decenni di malaf­fare dimo­strano che non siamo di fronte a una cor­ru­zione nel sistema ma a una ben più grave cor­ru­zione del sistema. Se non si parte da qui, traen­done le dovute con­se­guenze, le pro­messe di cam­bia­mento sono pura ipocrisia.


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Il 10 ottobre di quest’anno il Tribunale di Cremona ha assolto una donna imputata nel 2011 per avere coltivato quattro piantine di marijuana. La sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato si deve al giudice Guido Salvini, che già quattro anni fa come giudice dell’udienza preliminare a Milano aveva assolto un altro imputato per la coltivazione in giardino di sette piantine (vedi Manifesto 11 febbraio 2010).

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