Expo, la caccia al ladro che non tocca il sistema

by redazione | 14 Maggio 2014 13:03

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Di nuovo arre­sti eccel­lenti e rela­zioni peri­co­lose ecla­tanti. Addi­rit­tura – almeno in parte – gli stessi nomi di vent’anni fa. E, con essi, le forze poli­ti­che eredi dei par­titi pro­ta­go­ni­sti di Tan­gen­to­poli. Vent’anni fa il ter­reno pri­vi­le­giato della cor­ru­zione era il Metrò, oggi è Expo 2015, che si aggiunge al sistema sani­ta­rio lom­bardo, alle muni­ci­pa­liz­zate romane, all’alta velo­cità fer­ro­via­ria toscana, alla atti­vità del Monte dei Paschi di Siena per limi­tarsi alle vicende più recenti e cono­sciute.
Nulla è cam­biato, anche se alcuni edi­to­ria­li­sti indi­pen­denti si affan­nano a spie­gare che è dimi­nuita l’entità delle per­cen­tuali richie­ste nel rap­porto cor­rut­tivo e che gli arric­chi­menti per­so­nali pre­val­gono sul forag­gia­mento del sistema poli­tico (sic!).

A fronte di ciò il Pre­si­dente del Con­si­glio ina­nella bana­lità: «Se ci sono pro­blemi con la giu­sti­zia, si devono fer­mare i respon­sa­bili e non le grandi opere»; «l’Italia è molto più grande delle nostre paure, è molto più bella delle nostre pre­oc­cu­pa­zioni». Incre­di­bile ma vero, e, a seguire, l’ennesima ope­ra­zione di maquil­lage, con la nomina di un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio di cui, tra l’altro, non si cono­scono i poteri.
Benis­simo: fer­miamo i respon­sa­bili e non le grandi opere! Ma pos­sono – per favore – il pre­si­dente del Con­si­glio e il suo bril­lante entou­rage spie­garci per­ché ciò non è stato fatto negli ultimi trent’anni (e si potrebbe andare molto più addie­tro, ché già nel 1916 Vil­fredo Pareto denun­ciava che all’origine di tutti i grandi patri­moni ci sono atti­vità ille­cite con­nesse con gli appalti gover­na­tivi, le opere fer­ro­via­rie e le imprese pub­bli­che)?
L’inerzia al riguardo è stata tale da indurre Pier­ca­millo Davigo, uno dei pub­blici mini­steri pro­ta­go­ni­sti di Mani pulite a dichia­rare che «per l’attività di con­tra­sto alla cor­ru­zione in Ita­lia potrebbe rive­larsi addi­rit­tura pro­fe­tico quanto Joseph Roth scri­veva a pro­po­sito della pro­ta­go­ni­sta di uno dei suoi rac­conti: ’Nes­suno aveva desi­de­rato che restasse in vita e per­ciò era morta’».

Abbiamo da decenni una cor­ru­zione che costa ai cit­ta­dini oltre ses­santa miliardi di euro l’anno. Paral­le­la­mente i costi della poli­tica sono aumen­tati in modo espo­nen­ziale e la cam­pa­gna elet­to­rale del 2008 è costata, nel nostro paese, dieci volte di più di quella del 1996. E così dif­fi­cile ipo­tiz­zare che tra i due feno­meni ci sia un nesso? Non aveva eluso il pro­blema – né aveva usato luo­ghi comuni ras­si­cu­ranti – Enrico Ber­lin­guer che, già in una famosa inter­vi­sta del 1981, aveva segna­lato, con effi­ca­cia e lun­gi­mi­ranza, che «la que­stione morale non si esau­ri­sce nel fatto che, essen­doci dei ladri, dei cor­rotti, dei con­cus­sori in alte sfere della poli­tica e dell’amministrazione, biso­gna sco­varli, biso­gna denun­ciarli e biso­gna met­terli in galera. La que­stione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei par­titi gover­na­tivi e delle loro cor­renti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la con­ce­zione della poli­tica e con i metodi di governo di costoro, che vanno sem­pli­ce­mente abban­do­nati e supe­rati. Ecco per­ché dico che la que­stione morale è il cen­tro del pro­blema ita­liano». Dif­fi­cile non cogliere l’abissale dif­fe­renza tra l’analisi dell’allora segre­ta­rio del Pci (avva­lo­rata dalla sto­ria degli anni suc­ces­sivi) e le spen­sie­rate ras­si­cu­ra­zioni dell’attuale segre­ta­rio del Pd e pre­si­dente del Consiglio.

Ma non è un caso. Ricordo due episodi.

Il primo, poco più di un anno fa quando venne arre­stata la pre­si­dente di Ital­ferr ed ex pre­si­dente della Regione Umbria, Maria Rita Loren­zetti. Con l’accusa di essere al cen­tro di uno scam­bio di favori ille­citi (elar­gi­zione di inca­ri­chi, van­taggi per gli amici, attri­bu­zioni di con­su­lenze etc.) ruo­tanti intorno ai lavori per il tun­nel desti­nato al pas­sag­gio dei treni super­ve­loci sotto il cen­tro di Firenze (in un con­te­sto in cui – guarda caso – il costo delle linee Tav nel nostro paese supera di sei-sette volte quello di Fran­cia, Spa­gna o Giap­pone). Nes­suno parve sor­pren­dersi: nep­pure del fatto che la potente nota­bile Pd defi­nisse “ter­ro­ri­sta” l’onesto fun­zio­na­rio regio­nale che si osti­nava a chia­mare i “rifiuti” con il loro nome…

Il secondo si rife­ri­sce a qual­che mese dopo quando mi accadde di par­te­ci­pare a un semi­na­rio in cui Alberto Van­nucci (autore di un pre­zioso “Atlante della cor­ru­zione”, pub­bli­cato nel 2013 per le Edi­zioni Gruppo Abele) richiamò l’analisi di Ber­lin­guer e citò, a soste­gno, San­dro Per­tini. Nel 1974, all’epoca del primo scan­dalo dei petroli, richie­sto se riu­scisse a ren­dere par­te­cipi della pro­pria intran­si­genza al riguardo i suoi com­pa­gni socia­li­sti, Per­tini rispose: «Mica sem­pre. Mi accu­sano di non avere sou­plesse. Dicono che un par­tito moderno si deve ade­guare. Ma ade­guarsi a cosa, santa madonna?». Ebbene, il com­mento rega­lato ai pro­pri vicini da un poli­tico emer­gente, oggi mini­stro del Governo Renzi, fu elo­quente: «Che palle! Ancora cita­zioni di trenta o qua­ranta anni fa, come se da allora non fosse cam­biato niente!».

Decenni di malaf­fare dimo­strano che non siamo di fronte a una cor­ru­zione nel sistema ma a una ben più grave cor­ru­zione del sistema. Se non si parte da qui, traen­done le dovute con­se­guenze, le pro­messe di cam­bia­mento sono pura ipocrisia.

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