Fiducia sulle droghe. Giovanardi protesta

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Nes­suna modi­fica rispetto al testo licen­ziato dalla Camera il 29 aprile scorso. Nep­pure l’ordine del giorno, annesso in com­mis­sione Giu­sti­zia dal rela­tore del prov­ve­di­mento Carlo Gio­va­nardi, che inten­deva impe­gnare il governo a legi­fe­rare, nel più breve tempo pos­si­bile, per equi­pa­rare nuo­va­mente la mari­juana alle dro­ghe pesanti, con buona pace della sen­tenza della Con­sulta che ha fatto carta strac­cia della legge Fini-Giovanardi. L’annunciata bat­ta­glia dei proi­bi­zio­ni­sti in Senato ha avuto invece vita breve. Ieri l’Aula di Palazzo Madama ha appro­vato, con 155 voti favo­re­voli e 105 con­trari, la legge di con­ver­sione del decreto sulle dro­ghe, che porta il nome della mini­stra della Salute Bea­trice Loren­zin, su cui il governo aveva posto la fidu­cia. La decima.

Insieme a Fi e Lega, hanno votato no anche Sel e M5S che avreb­bero voluto un vero dibat­tito par­la­men­tare spe­rando di por­tare almeno una parte del Pd sulle loro posi­zioni, favo­re­voli alla lega­liz­za­zione della can­na­bis o almeno alla depe­na­liz­za­zione dei reati ad essa con­nessi (emen­da­menti pre­sen­tati, e boc­ciati, in com­mis­sione). Ma anche Gio­va­nardi ha accet­tato mal­vo­len­tieri la scelta del governo di blin­dare il testo. «Non è pos­si­bile – ha pro­te­stato –che una legge come quella sulle tos­si­co­di­pen­denze sia stata boc­ciata per un cavillo giu­ri­dico pro­ce­du­rale dopo esser stata discussa per due anni in com­mis­sione Giu­sti­zia creando un vuoto nor­ma­tivo che ha avuto come con­se­guenza un prov­ve­di­mento rima­sto all’esame del Senato per non più di sei ore in tutto». Inter­vento pra­ti­ca­mente foto­co­pia a quello di Gasparri (Fi) che, a favore della tesi «scien­ti­fi­ca­mente pro­vata» secondo cui dro­ghe pesanti e leg­gere pari sono, chiama in causa il «Dipar­ti­mento anti­droga, non un organo di parte», dice, che pro­prio ieri «ha riba­dito la peri­co­lo­sità della cannabis».

In verità però non è affatto chiaro cosa sia attual­mente il Dipar­ti­mento anti­droga. E soprat­tutto che ruolo abbia ancora l’ex capo Gio­vanni Ser­pel­loni, vici­nis­simo al sena­tore Gio­va­nardi, che pur non essendo stato ricon­fer­mato sarebbe ancora auto­riz­zato a lavo­rare (e comu­ni­care?) nella sede del Dpa come con­su­lente, «ma a titolo non one­roso», come egli stesso ha ammesso all’agenzia Redat­tore sociale. Pro­prio di que­sto chiede conto al governo il sena­tore Luigi Man­coni (Pd) in un’interrogazione par­la­men­tare pre­sen­tata per sapere «se cor­ri­sponde al vero che l’ex Capo Dpa è ancora al suo posto di lavoro, seb­bene deca­duto, e – in caso affer­ma­tivo – chi ha auto­riz­zato que­sta pre­senza o “con­su­lenza” come da lui stesso affer­mato e se la Ulss di Verona (dove avrebbe dovuto rien­trare, ndr) sia a cono­scenza di que­sta atti­vità e se l’abbia pre­ven­ti­va­mente auto­riz­zata». La curio­sità di Man­coni (e non è il solo) è anche quella di sapere «gli esatti con­torni della con­su­lenza» e «a che titolo» Ser­pel­loni è ancora auto­riz­zato a entrare negli uffici della Pre­si­denza del Consiglio.



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