L’ Europa perde l’asse

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Che cosa è que­sta Europa foto­gra­fata, per quel tanto che una som­ma­to­ria di risul­tati elet­to­rali ci con­sente di farlo, dal voto del 25 mag­gio? In quale pas­sag­gio della sua sto­ria si accinge ad entrare? Certo è che due nazioni, che nella sto­ria del Vec­chio Con­ti­nente hanno sem­pre pesato in maniera deci­siva, all’ Europa vol­gono ora le spalle. La Fran­cia risuc­chiata dal repub­bli­ca­ne­simo patriot­tico e raz­zi­sta del Front Natio­nal, la Gran Bre­ta­gna ten­tata da quel nazio­na­li­smo insu­lare di stampo con­ser­va­tore che con­ti­nua a sen­tirsi erede di un impero con i suoi pesi e le sue misure indi­vi­si­bili.
Le avvi­sa­glie non sono man­cate. La Fran­cia si rivelò deter­mi­nante nell’affossamento refe­ren­da­rio della Costi­tu­zione euro­pea, men­tre la resi­sti­bile ascesa del Front Natio­nal era in corso da tempo. Quanto al capi­ta­li­smo atlan­tico del Regno unito, da sem­pre osteg­gia ogni tra­sfe­ri­mento di sovra­nità all’Ue, spin­gen­dosi sem­pre più spesso a chie­derne la revoca. Il divor­zio tra Lon­dra e l’ Europa con­ti­nen­tale sem­bra solo que­stione di tempo.

Sta­bile e potente resta, invece, il cuore ger­ma­nico d’Europa: equi­li­brato, com­pe­ti­tivo, capace di man­te­nere la coe­sione sociale a buon mer­cato e la dia­let­tica poli­tica entro con­fini ben pre­cisi.
Ma anche il mag­giore dei van­taggi non è privo di incon­ve­nienti. La com­bi­na­zione tra la capar­bietà dot­tri­na­ria di Ber­lino e l’insipienza bal­bet­tante dei socia­li­sti fran­cesi, com­plice la crisi, hanno sepolto quell’asse franco-tedesco che era stato a lungo, nel bene e nel male, colonna ver­te­brale dell’Unione. Non­ché testi­mone pri­vi­le­giato della sua neces­sità storica.

Dal sepol­cro si leva ora il Front Natio­nal di un’abile Marine Le Pen e c’è da scom­met­tere che non si tratta di un fuoco fatuo. D’altro canto, se l’isola bri­tan­nica prende il largo gli affari ne risen­ti­ranno, e a Ber­lino qual­cuno comin­cia a temere di ritro­varsi a discu­tere di Europa solo con greci, ita­liani e spa­gnoli, inter­lo­cu­tori presso i quali il sacro rigore può con­tare su una fede piut­to­sto tie­pida e sostan­zial­mente fra­gile. Insomma, la Ger­ma­nia rischia di rima­nere con le spalle scoperte.

Para­dos­sal­mente il voto in Fran­cia e nel Regno unito rischia di ren­dere ancora più tede­sca l’ Europa tede­sca, tanto da met­tere in allarme la Ger­ma­nia stessa. Ad est il patriot­ti­smo con­ser­va­tore (non sce­vro, come in Unghe­ria, da tratti fasci­stoidi) è ancora sen­si­bile alla voce della Ger­ma­nia e alla sua potenza eco­no­mica. Ma fino a quando e fino a che punto il vento tede­sco con­ti­nuerà a sof­fiare senza incon­trare osta­coli? A non farsi sopraf­fare dalle cor­renti che pro­ven­gono da Oltreatlantico?

Angela Mer­kel esclude con deci­sione ogni col­la­bo­ra­zione con gli anti­eu­ro­pei­sti di Alter­na­tiva fuer Deu­tschland e sem­bra voler resi­stere, sal­da­mente anco­rata nella «grande coa­li­zione» con i social­de­mo­cra­tici, alla ten­ta­zione di dare una rispo­sta nazio­na­li­sta ai nazio­na­li­smi mon­tanti in Europa. Ecco allora che con greci, ita­liani, spa­gnoli e por­to­ghesi biso­gnerà pur par­lare se si vuole man­te­nere una ege­mo­nia che non lavori alla distru­zione dell’Unione, ras­se­gnan­dosi a pie­gare la dog­ma­tica del libe­ri­smo renano a qual­che com­pro­messo. Impresa non facile di fronte a un capi­ta­li­smo finan­zia­rio che di com­pro­messi non intende nean­che sen­tir par­lare. Nell’area medi­ter­ra­nea l’euroscetticismo è cer­ta­mente pre­sente, ma cre­sce anche il peso, soprat­tutto in Gre­cia e Spa­gna, di una sini­stra «radi­cale» che all’Europa non intende rinun­ciare, sep­pure ne avversa gli attuali assetti e le attuali politiche.

Inten­dia­moci, i risul­tati delle ele­zioni euro­pee non deter­mi­nano di per sé nes­sun radi­cale rivol­gi­mento (aldilà del trion­fa­li­smo esi­bito da que­sto o quel lea­der nazio­nale) ma cer­ta­mente trat­teg­giano un clima cul­tu­rale ambi­va­lente nel quale il richiamo nazio­na­li­sta da una parte e la domanda di tra­sfor­ma­zione sociale dall’altra (tal­volta sovrap­po­sti a deter­mi­nare mag­gior con­fu­sione) non pos­sono non influire sulla scena poli­tica. Non è indif­fe­rente, dun­que, a quale di que­ste pul­sioni le forze mag­giori che gover­nano l’ Europa, nelle sue isti­tu­zioni così come attra­verso il peso dei rispet­tivi governi nazio­nali, cer­che­ranno di dare una qual­che rispo­sta. Poi­ché igno­rarle non si può, rifu­gian­dosi nell’aritmetica dei seggi e dei regolamenti.

Se l’asse franco-tedesco non sem­bra avere sosti­tuti, se un’alleanza medi­ter­ra­nea (greco-latina), sia pur sug­ge­stiva, dif­fi­cil­mente riu­sci­rebbe (senza Parigi) a scon­giu­rare il disfa­ci­mento dell’Unione, così come non vi riu­sci­rebbe un raf­for­zato club delle eco­no­mie forti del nord con la pre­tesa di imporsi come modello gene­rale, allora biso­gna rico­no­scere che solo la ripresa di un forte movi­mento euro­pei­sta, privo di rife­ri­menti nazio­nali o regio­nali, potrebbe forse riu­scire nell’impresa.

Non si tratta di uno schie­ra­mento par­la­men­tare e nem­meno di un movi­mento di opi­nione, ma di un orga­niz­zarsi con­ti­nen­tale di quella domanda sociale alla quale né l’affermazione dei par­titi nazio­na­li­sti, né la tenuta di quelli del vec­chio esta­blish­ment sapranno dare rispo­sta. Tut­ta­via l’ottica nazio­nale con cui anche il voto euro­peo viene letto cela die­tro una spessa cor­tina di neb­bia que­sta pro­spet­tiva. E il futuro dell’Europa resta assai incerto.



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