Libia nel caos, attacco al Parlamento

Libia nel caos, attacco al Parlamento

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NON è bastata la morte di Muammar Gheddafi per scacciare l’incubo della guerra civile: la Libia è di nuovo spaccata, con una fetta del paese e delle Forze armate addirittura all’attacco delle sedi istituzionali di Tripoli, e un’altra fetta che invece difende lo status quo, mentre cresce il ruolo delle milizie islamiche di stampo qaedista. Ieri davanti al Congresso nazionale c’era quello che Al Jazeera ha definito «un campo di battaglia»: le milizie del generale Khalifa Hiftar hanno attaccato il palazzo del Parlamento per «arrestare gli estremisti» islamici.
L’alto ufficiale, ex collaboratore del colonnello Gheddafi poi fuggito negli Stati Uniti e rientrato in Libia solo nel 2011, ha preso la testa del dissenso contro la deriva jihadista di parte del paese: con lui sono schierati i miliziani di Zintan, protagonisti della rivoluzione, mentre gli uomini di Misurata, anch’essi colonna della rivolta anti-regime, sembrerebbero schierati con i jihadisti radicati a Bengasi e in tutta la Cirenaica.
L’attacco al Parlamento è stato respinto, dopo che le forze di sicurezza avevano fatto evacuare i parlamentari. Non è ben chiaro se i militari abbiano preso qualche politico in ostaggio, secondo il Libya Herald in mano ai ribelli ci sono almeno sette parlamentari. Diverse testimonianze riferiscono che le truppe fedeli a Hiftar hanno anche sparato contro una vicina base militare, controllata da una milizia islamista. A tarda serata, Tripoli appariva deserta, con i segni degli scontri vicino al Parlamento e nella zona di Abu Salim e al quartiere della “collina verde”.
Il generale sembra deciso ad andare avanti, convinto che le autorità del Paese non abbiano mandato legale per governare. Il Parlamento è in effetti diviso, con gli islamisti che cercano di varare un nuovo governo e i laici che vorrebbero nuove elezioni. Proprio poche ore prima dell’attacco, il premier ad interim Ahmed Maiteeq aveva annunciato la formazione di un nuovo governo, che avrebbe dovuto essere votato nei prossimi giorni. Ma dopo quasi due mesi di impasse, a prendere l’iniziativa ci ha pensato appunto Hiftar, venerdì, con un robusto attacco contro gli islamisti a Bengasi: si parla di una ottantina di morti negli scontri, mentre i feriti sono almeno il doppio.
Due fra le milizie più potenti schierate a Tripoli, denominate Al Qaaqaa e Sawaaq, composte in gran parte da miliziani provenienti da Zintan, si sono schierate con il generale. I primi hanno spiegato la decisione con un comunicato apparso su internet: abbiamo attaccato il Parlamento perché «sostiene i terroristi». I due gruppi avevano già indirizzato un ultimatum ai parlamentari perché sciogliessero la camera.
I vertici libici parlano di colpo di Stato. Nouri Abu Sahmein, presidente del Parlamento, di tendenze islamiche, ne ha parlato alla tv Al Nabaa: «Noi siamo stati eletti per questo ruolo, e lo portiamo avanti. Chi ci attacca colpisce qui e là per far vedere che ha influenza, ma noi e le milizie leali alle istituzioni abbiamo tutto sotto controllo». Secondo fonti di Tripoli, il governo ad interim avrebbe chiesto alle brigate di Misurata, fedeli al Parlamento e di tendenze islamiste, che avevano lasciato la capitale, di rientrare per difenderla.
Dopo la rivoluzione del 2011, l’attività politica libica è stata spesso paralizzata dagli scontri fra fazioni: le scaramucce fra brigate paramilitari, gli attacchi al Parlamento e persino il sequestro del premier, nei mesi scorsi, hanno bloccato ogni tentativo di stabilizzare il Paese e hanno preso in consegna giacimenti, condutture e porti, riducendo l’estrazione di petrolio da 1,4 milioni a 200 mila barili al giorno. L’attacco di ieri, lanciato da Hiftar con il programma di “ripulire” le istituzioni dalla presenza islamista, sembra un passo ulteriore verso il caos. Già a febbraio il generale aveva suscitato voci di golpe comparendo in pubblico con l’uniforme d’ordinanza per chiedere che un comitato presidenziale fosse investito di poteri governativi per indire nuove elezioni e togliere il paese dall’impasse.


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