Occupazione sempre più in calo

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L’Europa non cam­bia verso. Più forti della pro­pa­ganda delle can­cel­le­rie sono i numeri. E i dati Euro­stat dif­fusi ieri non lasciano scampo: il tasso di occupazione nel Vec­chio con­ti­nente è dimi­nuito nel 2013 per il quinto anno con­se­cu­tivo. Nono­stante le «riforme» tanto care a Bru­xel­les, Ber­lino e Fran­con­forte, la ten­denza gene­rale all’abbassamento delle tutele per i lavo­ra­tori non pro­duce risul­tati posi­tivi: l’incidenza di per­sone con un impiego sul totale della popo­la­zione con­ti­nua a ridursi.

Il dato com­ples­sivo sui 28 Paesi Ue è nega­tivo (68,3%, pari a –0,1% rispetto all’anno pre­ce­dente), ma lo è molto di più quello rife­rito all’Italia, dove il calo è dell’1,2%. Il tasso del 2013 ammonta al 59,8%, che rap­pre­senta un ritorno ai livelli di occu­pa­zione del 2002. Nel 2008, all’inizio della «grande crisi», a lavo­rare erano 63 cit­ta­dini ita­liani su 100. Peg­gio del Bel­paese stanno sol­tanto la Gre­cia (ultima in clas­si­fica con il 53,2%), la Croa­zia (53,9%) e la Spa­gna (58,2%).

Com­men­tando que­sti numeri, il pre­mier Mat­teo Renzi (che ha rice­vuto in visita uffi­ciale il col­lega polacco Donald Tusk) ha rile­vato che nel 2013 «sul lavoro si è toc­cato un punto molto basso», ma ini­zia «a vedere i segni di una ripresa». Dove, è un mistero.I dati dif­fusi ieri dall’isituto uffi­ciale di sta­ti­stica della Ue fanno il paio, infatti, con quelli resi noti la scorsa set­ti­mana in rela­zione alla cre­scita del primo tri­me­stre 2014 (-0,1%) e alla disoc­cu­pa­zione che non accenna a dimi­nuire in modo considerevole.

I Paesi dell’Unione in miglior stato di salute sono Sve­zia e Ger­ma­nia, con tassi rispet­ti­va­mente del 79,8 e del 77,1%. Posi­tivo è anche il dato del Regno Unito, dove la per­cen­tuale di occu­pati è cre­sciuta lo scorso anno dello 0,7. Un imper­cet­ti­bile miglio­ra­mento si è regi­strato in Fran­cia (+0,1), dove il tasso era cre­sciuto di poco già l’anno pre­ce­dente. Tra i migliori della classe, Repub­blica ceca, Esto­nia, Irlanda dove la cifra degli occu­pati è cre­sciuta di oltre l’1%. La per­for­mance migliore è quella del più pic­colo stato della Ue, Malta: le sta­ti­sti­che fanno regi­strare un incre­mento della per­cen­tuale di per­sone al lavoro di quasi 2 punti.

Rispetto agli obiet­tivi fis­sati dalla stra­te­gia della Com­mis­sione di Bru­xel­les «Europa 2020», pro­prio la pic­cola isola-stato è uno dei due Paesi ad averli cen­trati: l’altro è la Ger­ma­nia. Certo, que­sti numeri sono una spia dello stato di salute macroe­co­no­mico, ma non dicono molto (anzi, nulla) della qua­lità del lavoro che viene «misu­rato»: dall’impiego a tempo inde­ter­mi­nato a quello inter­mit­tente e pre­ca­rio tutto fini­sce nello stesso cal­de­rone. Un dato disag­gre­gato offerto da Euro­stat è quello rela­tivo al tasso di occu­pa­zione delle per­sone tra i 55 e i 64 anni: in quel par­ti­co­lare seg­mento, l’Italia cre­sce. L’aumento rile­vato è con­si­stente: +2,3%, oltre la media Ue, che è pari all’1,3%. Che sia una buona noti­zia, è tutto da dimo­strare: biso­gne­rebbe chie­dere ai lavo­ra­tori che hanno subito gli effetti della «riforma» For­nero che cosa pen­sino al riguardo.

E a pro­po­sito di età pen­sio­na­bile, ieri in Ger­ma­nia è arri­vato il via libera defi­ni­tivo, sul piano poli­tico, alla modi­fica della nor­ma­tiva che riguarda i lavo­ra­tori con mag­giore anzia­nità. Dopo il sala­rio minimo legale a 8,5 euro l’ora, è un’altra pro­messa elet­to­rale dei social­de­mo­cra­tici della Spd che si rea­lizza: le per­sone che hanno alle spalle 45 anni di lavoro potranno riti­rarsi a 63 anni. Si tratta di una deroga al prin­ci­pio «sacro» della pen­sione a 67 anni, che arriva dopo anni di bat­ta­glie dei sin­da­cati (molto sod­di­sfatti della novità) e dopo una dif­fi­cile trat­ta­tiva fra i par­titi della grosse Koa­li­tion.


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