La sfida di Landini per un’altra Cgil

by redazione | 8 Maggio 2014 11:36

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Un discorso appas­sio­nato, applau­di­tis­simo, non solo dai suoi. L’intervento di Mau­ri­zio Landini dal palco di Rimini rap­pre­senta uno spar­tiac­que nella vita della Cgil. Il lea­der della Fiom, che ha uffi­cial­mente pre­sen­tato una seconda lista di oppo­si­zione, ha attac­cato in modo duris­simo la segre­ta­ria Susanna Camusso, rin­fac­cian­dole tutti gli errori degli ultimi anni: errori che hanno con­tri­buito, è la sua tesi, a fare spa­zio alle cri­ti­che demo­li­trici di Renzi e Grillo. «Il con­senso di Renzi – ha detto – è figlio delle nostre dif­fi­coltà, delle cose che non abbiamo rea­liz­zato negli anni per con­tra­stare le diverse poli­ti­che, e del fatto che non abbiamo osta­co­lato i governi che ci sono stati».

Una cri­tica radi­cale, sostan­ziale, che dise­gna una stra­te­gia del tutto oppo­sta a quella della segre­ta­ria: in altri sistemi (ma non nell’attuale Cgil) potrebbe benis­simo deli­neare la figura di un anti-Camusso, il can­di­dato alla segre­te­ria gene­rale al posto dell’attuale lea­der. Lan­dini incarna ormai que­sta figura nel Paese, agli occhi di tutti gli osser­va­tori esterni (si sia d’accordo con lui o no), ma per i far­ra­gi­nosi sistemi di sele­zione della Cgil que­sta con­trap­po­si­zione non può essere gio­cata. Forse in futuro con le pri­ma­rie, chi lo sa. «Non pos­siamo più nascon­derci die­tro un’apparente rap­pre­sen­tanza che all’esterno non ci viene rico­no­sciuta, dirci che siamo molto demo­cra­tici e che tutto fun­ziona: per­ché così faremo la fine dei par­titi poli­tici, è solo que­stione di tempo», dice in un crescendo.

Landini ha spie­gato di essere d’accordo con la rela­zione di Camusso, «quando chiede di aprire una ver­tenza su pen­sioni, fisco e ammor­tiz­za­tori: ma noi non siamo stati scon­fitti sulle pen­sioni, noi quella par­tita non l’abbiamo nem­meno aperta». «Il pro­blema è che dob­biamo cam­biare subito il nostro approc­cio con i gio­vani, i pre­cari, le per­sone che oggi non ci cono­scono. Ho incon­trato in treno immi­grati che lavo­rano a Bre­scia per 2 euro l’ora, e ho detto loro che sono sin­da­ca­li­sta: pen­sa­vano che fossi pagato dallo Stato. Ma que­ste per­sone qui, io come le con­vinco?». Un altro nodo da affron­tare è quello della «tra­spa­renza»: «Qui il pro­blema non è la casa o il con­do­mi­nio – dice Lan­dini rife­ren­dosi a una meta­fora usata da Camusso — qui siamo di fronte a un ter­re­moto per cui non esi­stono più case e con­do­mini. Il pro­blema è la pos­si­bi­lità di costruire una casa di vetro, fino ad arri­vare a un codice etico».

Si può discu­tere del nuovo sin­da­cato nella Con­fe­renza di orga­niz­za­zione annun­ciata da Camusso per il 2015? «Non c’è più tempo – dice Landini – Noi dob­biamo capo­vol­gere il ragio­na­mento: non dob­biamo fare qual­cosa per­ché ce lo chiede qual­cuno, la poli­tica o Renzi. Ma dob­biamo agire per­ché ce lo chie­dono i lavo­ra­tori, dob­biamo met­tere in gioco la nostra vita con loro». La spinta emo­tiva a que­sto punto è altis­sima, visto che il lea­der Fiom parla addi­rit­tura di sacri­fi­cio della vita, in una evi­dente iper­bole: «Il fatto è che sento la respon­sa­bi­lità su di me: tra qual­che anno dovrò lasciare que­sto ruolo, ma non mi chiedo cosa suc­ce­derà a me, ma cosa avrò lasciato agli altri». Un altro punto di scon­tro con Camusso, il nodo Fiat: «Non ho apprez­zato il fatto che nella rela­zione non sia stata citata la Fiat, e non solo per quello che accade in que­sti giorni. Ma per­ché il modello Fiat implica lo scar­di­na­mento totale non solo del con­tratto nazio­nale, ma della con­trat­ta­zione in sé, del sin­da­cato come soggetto».

Al segre­ta­rio Fiom non è pia­ciuto nean­che il modo in cui ci si è rap­por­tati con Cisl e Uil: «Ho sem­pre pen­sato che l’unità della Cgil venga prima dell’unità con Cisl e Uil. Men­tre una finta unità con Cisl e Uil è stata usata a volte per distrarre dai pro­blemi interni. A sen­tire Bonanni fare il pala­dino della demo­cra­zia a me sono venuti i capelli dritti, per­ché lui è quello che ha fir­mato per anni con­tratti sepa­rati, e accordi che hanno tenuto la Cgil fuori dalle fab­bri­che. E uno viene qui a fare le lezioni e noi a dire che non abbiamo pro­blemi ad applau­dirlo: ma stiamo scher­zando?». E allora per Landini biso­gna guar­dare le dif­fi­coltà e le divi­sioni interne in fac­cia, serve «discu­tere, discu­tere, discu­tere». «Non si può risol­vere tutto a colpi di mag­gio­ranza: è vero che l’unità ci rende più forti, e io avevo accet­tato prima della firma del Testo unico un per­corso uni­ta­rio, ma poi non è stato possibile».

Que­sta la «piat­ta­forma» di Landini per l’altra Cgil, per come la rico­strui­rebbe se fosse lui a gui­darla. Camusso per tutto il discorso è stata atten­tis­sima: spesso ha preso appunti, in altri momenti lo ha guar­dato, restando seduta die­tro alla pre­si­denza. Alla fine, quando il micro­fono alla sca­denza dei 15 minuti si è spento auto­ma­ti­ca­mente (una «ghi­gliot­tina» impo­sta a tutti, per non far dilun­gare gli inter­venti), e Landini ha con­ti­nuato a par­lare ancora per mezzo minuto, ha applau­dito e sor­riso. Oggi rispon­derà cer­ta­mente in det­ta­glio a tutte que­ste cri­ti­che, nelle sue conclusioni.

Sin­to­nia con la rela­zione di Lan­dini, nelle parole di un altro inter­vento molto appas­sio­nato e ugual­mente applau­dito, quello della segre­ta­ria Spi Cgil Carla Can­tone. Era stata pro­prio lei, al suo con­gresso a porre il pro­blema del fal­li­mento del sin­da­cato nel con­tra­sto alla riforma For­nero delle pen­sioni. E ieri ha riba­dito il con­cetto, anti­ci­pando una cri­tica di sostanza a Camusso che è poi rie­cheg­giata nell’intervento del lea­der Fiom: «Noi dob­biamo avere il corag­gio della lotta – ha detto – e non farci incar­tare come è avve­nuto con la riforma For­nero. Per­ché non puoi scen­dere in campo dopo che tutto è già avve­nuto».
Indi­pen­denza e corag­gio nel con­tra­stare il governo che chiede anche Gior­gio Cre­ma­schi, che ha pre­sen­tato una terza lista: «Per­ché la bat­ta­glia sulle pen­sioni non l’abbiamo mai fatta non per timore di per­derla, ma per paura che riu­scisse troppo bene, così da creare pro­blemi al Pd che soste­neva il governo Monti».

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