Stagisti di tutto il mondo, unitevi!

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«Fan­culo il tuo stage non retri­buito». Que­sto slo­gan, scritto su un car­tello, era uno dei più colo­riti al cul­mine del movi­mento Occupy. Car­telli simili, impu­gnati dai gio­vani che si bat­tono con­tro gli effetti della crisi finan­zia­ria, respin­gono con pia­ce­vole fran­chezza il man­tra secondo cui oggi dovremmo essere dispo­sti a fare «di più per meno». Ver­sione aggior­nata al XXI secolo della famosa rispo­sta di Bar­tleby ai com­piti che il suo capo gli asse­gnava – «avrei pre­fe­renza di no» –, l’invettiva dello sta­gi­sta esprime la fru­stra­zione che ser­peg­gia tra i gio­vani, alle prese con l’aumento dei debiti stu­den­te­schi e la ridu­zione delle pro­spet­tive di impiego. Se un lavoro digni­toso e a tempo pieno sta diven­tando sem­pre più dif­fi­cile da tro­vare, non si può dire altret­tanto per gli stage, siano essi poco o affatto retri­buiti. I media hanno dedi­cato agli stage mol­tis­sima atten­zione dopo che Ross Per­lin ha pub­bli­cato il suo sag­gio Intern Nation: How to Earn Nothing and Learn Lit­tle in the Brave New Economy.

Minore atten­zione ha rice­vuto la cre­scente mobi­li­ta­zione con­tro il feno­meno dello sfrut­ta­mento degli sta­gi­sti e le con­di­zioni cul­tu­rali che lo ren­dono pos­si­bile. Dalle pro­te­ste di piazza alle cam­pa­gne online, l’attivismo emer­gente sul tema degli stage rien­tra nel ten­ta­tivo più ampio da parte di nuovi sog­getti di rifor­mare le poli­ti­che del lavoro per tempi di pre­ca­riato. Pren­diamo ad esem­pio la Cana­dian Intern Asso­cia­tion. Fon­data a mag­gio 2012, l’associazione è forse il primo gruppo che si sta orga­niz­zando per affron­tare il tema degli stage non pagati o sot­to­pa­gati in Canada. I ven­tenni che par­te­ci­pano alle sue assem­blee sono tra­sci­nati dall’impeto della pro­te­sta con­tro gli stage. «Non avevo in pro­gramma una cosa così da tanto tempo» rac­conta la pre­si­dente dell’associazione, Claire Sea­born. L’idea di fon­dare un gruppo per i diritti degli sta­gi­sti le è venuta in mente men­tre discu­teva di stage con amici davanti a una birra. «C’è stato tal­mente tanto inte­resse verso l’associazione che ho detto: ok, penso che dovremmo farlo».

E ci sono tan­tis­sime ragioni per pro­se­guire. Secondo la men­ta­lità domi­nante, gli stage sono rite­nuti van­tag­giosi per tutti: i datori di lavoro pos­sono met­tere alla prova le poten­ziali reclute e affi­dare loro alcuni com­piti banali; gli sta­gi­sti pos­sono vedere in pro­spet­tiva un’occupazione, fare una pre­ziosa espe­rienza di lavoro, e strin­gere i rap­porti neces­sari a lan­ciare una car­riera. Que­sta logica tut­ta­via ignora le rela­zioni di potere che sot­to­stanno al sistema degli stage. Una delle molte cri­ti­cità evi­den­ziate è che spesso agli sta­gi­sti non retri­buiti viene chie­sto di ese­guire il lavoro che prima veniva asse­gnato al per­so­nale retri­buito dopo l’assunzione. Inol­tre gli sta­gi­sti non hanno accesso alle tutele e ai bene­fit di cui godono i lavo­ra­tori tradizionali.

Gli stage pos­sono aiu­tare a met­tere il pro­ver­biale piede den­tro la porta, ma non offrono garan­zie: una inda­gine del 2012 con­dotta negli Usa dalla Natio­nal Asso­cia­tion of Col­le­ges and Employers rivela che solo il 37% degli sta­gi­sti non retri­buiti hanno rice­vuto offerte di lavoro. Cosa ancor più impor­tante, poche per­sone pos­sono per­met­tersi di lavo­rare gra­tis. Se fare uno stage non retri­buito con­ti­nuerà ad essere un pas­sag­gio obbli­gato sulla tra­bal­lante scala della car­riera di oggi, le pro­fes­sioni basate su que­sto sistema saranno tra­sfor­mate in modo da favo­rire i più bene­stanti. Oltre che dai geni­tori (tra i quali non tutti pos­sono accen­dere una seconda ipo­teca per finan­ziare un figlio che a ven­ti­due anni lavora gra­tis in una città costosa), i mezzi di sosten­ta­mento pro­ven­gono da pre­stiti per­so­nali o da lavori part-time.

Gli stage sono un esem­pio non sol­tanto di disu­gua­glianza di classe, ma anche di discri­mi­na­zione in base alla età. «Paga i tuoi debiti» è uno stanco cli­ché, piut­to­sto che un’argomentazione etica, sul per­ché debba essere accet­ta­bile che i gio­vani donino il loro lavoro. Una volta diven­tati sta­gi­sti, è dif­fi­cile pren­dere posi­zione con­tro il pro­prio sfrut­ta­mento. Lo stage ha den­tro di sé la con­se­gna del silen­zio. Per quanto sgra­de­vole possa essere il loro quasi-lavoro, pochi sta­gi­sti sareb­bero dispo­sti a met­tere a repen­ta­glio il pro­prio obiet­tivo (dalla lau­rea al full-time, una refe­renza bril­lante) o annien­tare la pro­pria buona repu­ta­zione ribel­lan­dosi. Gli sta­gi­sti non sono solo ridotti al silen­zio, sono anche invi­si­bili. Nono­stante la loro con­di­zione sia sem­pre più con­tro­versa, non esi­ste alcuna stima uffi­ciale sulla popo­la­zione degli stagisti.

Andrew Lan­gille, un avvo­cato del lavoro di Toronto e acceso cri­tico degli stage non retri­buiti, stima che in Canada gli sta­gi­sti siano circa 200.000. Ma è una man­ciata di sta­gi­sti cele­bri ad attrarre mag­gior­mente l’attenzione: Kanye West è stato sta­gi­sta presso la griffe di moda ita­liana Fendi; Lady Gaga presso lo sti­li­sta irlan­dese di cap­pelli Phi­lip Treacy; Lau­ren Con­rad di The Hills presso Teen Vogue. È impro­ba­bile che un cast così scin­til­lante possa sco­rag­giare le domande per diven­tare sta­gi­sti nelle indu­strie cul­tu­rali e dei media, che, accu­sano i cri­tici, sono tra i mag­giori respon­sa­bili dell’ingiustizia degli stage. Ad un recente pro­gramma radio­fo­nico della Cbc, una ex sta­gi­sta dell’industria musi­cale ha rac­con­tato che i suoi com­piti inclu­de­vano «la puli­zia dei bagni». È una imma­gine che col­pi­sce l’attenzione e sfida il mito sem­pre più inu­tile che gli sta­gi­sti si limi­tino a por­tare il caffè ai superiori.

Con­trad­dice anche quanto soste­nuto dalle com­pa­gnie, secondo cui gli sta­gi­sti rice­ve­reb­bero soprat­tutto adde­stra­mento per la loro car­riera e per­ciò non meri­te­reb­bero un sala­rio. Essi ese­guono una vasta gamma di man­sioni per le quali nor­mal­mente le com­pa­gnie pagano i lavo­ra­tori. Una ricerca con­dotta dalla U.K. Natio­nal Union of Jour­na­lists ha rive­lato che quasi l’80% degli sta­gi­sti in campo gior­na­li­stico che hanno pub­bli­cato dei con­te­nuti nel corso della loro espe­rienza lavo­ra­tiva non erano stati retri­buiti. Quando sta­gi­sti non retri­buiti, con il loro lavoro, gene­rano pro­fitti nelle arti, nei media e nella cul­tura, le cor­po­ra­tions fanno cassa sulle pas­sioni dei gio­vani lavo­ra­tori. «Solo per­ché a qual­cuno piace il design, que­sto non signi­fica che non debba essere pagato» dice Seaborn.

GLI STA­GI­STI AL CONTRATTACCO

Lavo­rare gra­tis per pulire un ori­na­toio è un grido remoto dal mondo incan­tato della «classe crea­tiva». Gli sta­gi­sti più disin­can­tati stanno pas­sando al con­trat­tacco. Negli ultimi anni, in tutto il mondo sono sorti gruppi che si bat­tono con­tro il loro sfrut­ta­mento: ad esem­pio, Intern Aware in Gran Bre­ta­gna, Intern Labor Rights negli Usa, Géné­ra­tion Pré­caire in Fran­cia, Repub­blica degli Sta­gi­sti in Ita­lia, Hague Interns Asso­cia­tion in Olanda. Sta­gi­sti pre­senti e pas­sati, e i loro alleati, seguono le que­stioni che li riguar­dano online attra­verso gli account Twit­ter, le pagine Face­book e blog come i due blog cana­desi Intern­sheep e Youth and Work. Gli atti­vi­sti denun­ciano un tasso di disoc­cu­pa­zione gio­va­nile galop­pante, un mer­cato del lavoro super-competitivo che spinge coloro che cer­cano un impiego a com­pe­tere gli uni con gli altri, e la ten­denza degli stage gra­tuiti a rim­piaz­zare le nuove assunzioni.

Che gli sta­gi­sti pre­senti e pas­sati stiano alzando la voce riflette anche uno spo­sta­mento poli­tico. «Veniamo da un periodo di libe­ri­smo sfre­nato e di ridu­zione dello stato sociale» spiega Lan­gille, «e le per­sone stanno impa­rando a com­bat­tere bat­ta­glie per il lavoro». Occupy ne è un esem­pio evi­dente. «C’è una gene­ra­zione che sta entrando nella forza lavoro, una gene­ra­zione che non ne aveva mai fatto parte prima» aggiunge Lan­gille. «E non penso che a que­sti gio­vani piac­cia quello che vedono».

Una tat­tica che gli atti­vi­sti stanno uti­liz­zando è quella del ricorso alle con­tro­ver­sie legali. Un pro­blema ricor­rente è che gli sta­gi­sti ven­gono clas­si­fi­cati in modo scor­retto: i datori di lavoro defi­ni­scono una per­sona «sta­gi­sta» ma le asse­gnano man­sioni altri­menti effet­tuate da un lavo­ra­tore retri­buito. Le com­pa­gnie ame­ri­cane del mondo dell’informazione dedite a que­sta pra­tica sono ora sotto i riflet­tori per­ché sono state chia­mate in giu­di­zio in alcune class-action, ivi com­prese le cause con­tro l’editore di rivi­ste Hearst Cor­po­ra­tion e il gruppo Fx Enter­tain­ment Group. «Que­ste cause sono asso­lu­ta­mente neces­sa­rie» spiega un mili­tante di Intern Labor Rights, un’organizzazione con sede a New York.

«Quando le com­pa­gnie capi­ranno che sono a rischio i loro pro­fitti, i loro avvo­cati diranno ‘non potete più farlo’. E ci sarà un’inversione di rotta». Le cause legali hanno riscosso un certo suc­cesso nelle riven­di­ca­zioni sala­riali. Nel Regno Unito, la Natio­nal Union of Jour­na­lists, attra­verso la sua cam­pa­gna «Cash­back for Interns», ha aiu­tato un ven­tu­nenne ex sta­gi­sta non retri­buito a vin­cere una causa nel 2011. Le sue gior­nate di otto ore inclu­de­vano il com­pito asso­lu­ta­mente iro­nico di «assu­mere nuovi sta­gi­sti». Se i costi da soste­nere per le spese legali e gli accordi extra­giu­di­ziali minac­cias­sero di supe­rare il costo della paga minima agli sta­gi­sti, gli sta­gi­sti dell’industria media­tica potrebbe arri­vare a una solu­zione in un’aula di tribunale.

Non sor­prende dun­que che la Cana­dian Intern Asso­cia­tion sia stata fon­data da uno stu­dente di giu­ri­spru­denza e che i gio­vani che lavo­rano nell’industria dei media abbiano avuto una forte pre­senza nelle riu­nioni del gruppo. In Onta­rio, dove l’associazione ha la sua sede, non ci sono nor­ma­tive riguar­danti gli stage non retri­buiti in sé. Tut­ta­via l’Employment Stan­dards Act di quella pro­vin­cia sta­bi­li­sce dei cri­teri cui le com­pa­gnie deb­bono atte­nersi nell’utilizzo degli sta­gi­sti. La norma afferma espli­ci­ta­mente che gli stage devono bene­fi­ciare gli sta­gi­sti, e non i datori di lavoro. “Se i cri­teri non ven­gono sod­di­sfatti, spiega Sea­born, allora lo sta­gi­sta dovrebbe rice­vere un sala­rio minimo». Nono­stante que­sto, molti sta­gi­sti pre­fe­ri­scono fare una buona impres­sione piut­to­sto che con­sul­tare le norme sul lavoro.

La Cana­dian Intern Asso­cia­tion vuole «creare con­sa­pe­vo­lezza» sulle norme esi­stenti e «far rispet­tare la legge». Tale man­dato pro­duce lo sce­na­rio alquanto para­dos­sale di un gruppo di volon­tari impe­gnati in un lavoro che spet­te­rebbe ai dipen­denti pub­blici, ampliando ancora di più la gamma delle man­sioni affi­date agli sta­gi­sti. Sea­born defi­ni­sce la Cana­dian Intern Asso­cia­tion un gruppo di pres­sione che vede i datori di lavoro come poten­ziali part­ner nello sforzo di miglio­rare gli stage. Vuole che, alla fine, l’associazione pre­di­sponga una guida delle «migliori pra­ti­che» ed offra un «mar­chio di con­for­mità» alle com­pa­gnie che si com­por­tano cor­ret­ta­mente. Seb­bene eviti stra­te­gi­ca­mente un atteg­gia­mento di con­trap­po­si­zione, la Cana­dian Intern Asso­cia­tion non è anti­te­tica allo spi­rito del sindacato.

Dopo tutto, Sea­born spiega che il pro­getto è sca­tu­rito dall’idea di «orga­niz­zare un gruppo di per­sone che attual­mente non sono orga­niz­zate». E orga­niz­zare gli sta­gi­sti è una sfida estre­ma­mente dif­fi­cile, anche per­ché sono dispersi in tanti posti di lavoro diversi e hanno posi­zioni mute­voli. La scuola è comun­que un luogo in cui gli sta­gi­sti pas­sati, pre­senti e futuri si aggre­gano in gran numero. I col­lege e le uni­ver­sità stanno diven­tando luo­ghi stra­te­gici per orga­niz­zarsi. I cam­pus costi­tui­scono un col­le­ga­mento isti­tu­zio­nale deci­sivo nella catena del lavoro non retri­buito: i career cen­tres pub­bli­ciz­zano dub­bie posi­zioni non retri­buite presso com­pa­gnie for-profit, i pro­grammi acca­de­mici fanno pagare le tasse di iscri­zione per cre­diti gua­da­gnati attra­verso posi­zioni non retri­buite, e gli inse­gnanti, come dice un atti­vi­sta di Intern Labor Rights, con­si­gliano ai loro stu­denti: «Oh, quello che ti serve durante l’estate è uno stage».

È dun­que inco­rag­giante che la Cana­dian Intern Asso­cia­tion abbia rice­vuto una for­male espres­sione di soste­gno dall’esecutivo dell’RSU (Ryer­son Stu­dents’ Union). Melissa Palermo, vice­pre­si­dente del set­tore istru­zione dell’RSU, vede la col­la­bo­ra­zione come una natu­rale alleanza giac­ché il lavoro di un sin­da­cato stu­den­te­sco è «difen­dere gli stu­denti» che devono affron­tare una tri­plice sfida: l’aumento delle tasse di iscri­zione, l’aumento dell’indebitamento e l’aumento della disoc­cu­pa­zione. Come osserva Melissa Palermo, la que­stione degli sta­gi­sti è par­ti­co­lar­mente acuta per gli stu­denti dei corsi di comu­ni­ca­zione, belle arti e design. A livello pro­vin­ciale, la Fede­ra­zione Cana­dese degli Stu­denti dell’Ontario ha appro­vato in ago­sto una mozione che con­dan­nava gli stage non retri­buiti di sfruttamento.

NOMI­NARE E DENUNCIARE

L’attivismo degli sta­gi­sti reca i segni delle con­di­zioni pre­ca­rie in cui essi si tro­vano in vari modi. Gli atti­vi­sti sot­to­li­neano l’importanza di con­di­vi­dere le espe­rienze per­so­nali di sfrut­ta­mento, ma l’enfasi sulla denun­cia va di pari passo con l’esigenza di pre­ser­vare l’anonimato degli sta­gi­sti. Le maschere indos­sate dai mem­bri del Car­rot­wor­kers’ Col­lec­tive di Lon­dra, in Inghil­terra, evi­den­ziano que­sto punto. Come dice un par­te­ci­pante di Intern Labor Rights, «il rischio per la repu­ta­zione è altis­simo per chi denun­cia». Anche se sotto il man­tello dell’anonimato, molti gruppi scel­gono un approc­cio con­flit­tuale, come il «nomi­nare e denun­ciare» le com­pa­gnie che pub­bli­ciz­zano online stage non retri­buiti. Oltre ad aver pro­dotto Sur­vi­ving Intern­ships: A Coun­ter Guide to Free Labour in the Arts (Soprav­vi­vere agli stage.

Una contro-guida al lavoro libero nelle arti), il Car­rot­wor­kers’ Col­lec­tive è sceso in piazza per pro­te­stare con­tro l’austerità. Il gruppo ha par­te­ci­pato a dimo­stra­zioni in cui faceva pen­zo­lare scul­ture a forma di carota – la «carota» in que­stione è la pro­messa di auto­no­mia nel lavoro crea­tivo – e por­tava car­telli con mes­saggi come «stage = infi­nito lavoro gra­tuito». Nel 2013 l’Intern Aware Street Team ha per­corso le strade di Lon­dra con flash­mobs e l’utilizzo di stunts fuori delle sedi di imprese che uti­liz­zano gli sta­gi­sti senza pagarli. Intern Labor Rights, un sot­to­gruppo di Arts & Labor, che è sca­tu­rito da Occupy Wall Street, ha pro­po­sto un’ingiunzione etica diretta – «Pagate i vostri sta­gi­sti!» – che è stata stam­pata sulle T-shirts. Nel suo primo inter­vento, il gruppo ha inviato una let­tera alla New York Foun­da­tion for the Arts chie­den­dole di smet­terla di postare, sulla sua bacheca degli annunci di lavoro, stage non retri­buiti di com­pa­gnie for-profit. Quest’estate ha por­tato il suo mes­sag­gio in piazza, scen­dendo a Times Square per par­lare con i new­yor­kesi degli stage non retri­buiti nelle indu­strie crea­tive e non solo.

CANA­RINI IN MINIERA

Secondo un mem­bro di Intern Labor Rights, la ten­denza tra i gio­vani che aspi­rano a diven­tare lavo­ra­tori della cul­tura a sva­lu­tare il pro­prio lavoro rap­pre­senta un osta­colo alla cre­scita della mobi­li­ta­zione. «Que­sta gene­ra­zione non lo con­si­dera nean­che sfrut­ta­mento», spiega. «Non capi­sco come una quan­tità di lavo­ra­tori volen­te­rosi, intel­li­genti e alta­mente istruiti pos­sano entrare in un uffi­cio o su un set cine­ma­to­gra­fico o in una gal­le­ria, con­tri­buire con tutta quella cono­scenza, ener­gia ed entu­sia­smo ad una orga­niz­za­zione e al suo suc­cesso, e poi pen­sare di non avere niente da dare per­ché non lavo­rano nel set­tore da cin­que anni… Tutta quest’idea che il loro con­tri­buto non signi­fi­chi niente, che non abbia valore, l’hanno com­ple­ta­mente inte­rio­riz­zata. È ter­ri­bile da vedere».

Ciò rende ancora più sug­ge­stivo lo slan­cio di atti­vi­smo degli sta­gi­sti, spe­cial­mente in un momento in cui creare col­le­ga­menti su Lin­ke­dIn è spesso la cosa che più si avvi­cina ad una azione col­let­tiva nel mer­cato del lavoro. Que­sti gruppi sor­gono dalla presa di coscienza che non sono i fal­li­menti per­so­nali, ma forze siste­mi­che a ren­dere così inaf­fer­ra­bile la pos­si­bi­lità di siste­mi­che a ren­dere così inaf­fer­ra­bile la pos­si­bi­lità di man­te­nersi in modo signi­fi­ca­tivo e soste­ni­bile. E che se vuoi cam­biare le cose, non puoi farlo da solo. Que­ste ini­zia­tive aggirano in gran parte i vec­chi sin­da­cati, che hanno avuto dif­fi­coltà o man­canza di inte­resse a coin­vol­gere i gio­vani. I gruppi gui­dati dai gio­vani stanno facendo rivi­vere l’interesse per que­stioni che sono al cuore del movi­mento dei lavo­ra­tori: lo sfrut­ta­mento da parte delle cor­po­ra­tions, la giu­sti­zia eco­no­mica, la pre­vi­denza sociale.

Soprat­tutto, stanno spe­ri­men­tando modi per mobi­li­tare e soste­nere le per­sone oltre la base sem­pre più ristretta dei sin­da­cati clas­sici. Una part­ner­ship tra il Tuc (Tra­des Union Con­gress) e il Nus (Nation Union of Stu­dents) nel Regno Unito per affron­tare le que­stioni dei diritti degli sta­gi­sti in Gran Bre­ta­gna è un segno pro­met­tente di col­la­bo­ra­zione. In feb­braio il Tuc, che rap­pre­senta 54 sin­da­cati ed oltre sei milioni di lavo­ra­tori, si è alleato con il Nus lan­ciando una cam­pa­gna della durata di un anno per chie­dere un equo trat­ta­mento degli sta­gi­sti. Il Tuc ha svi­lup­pato una app gra­tuita per smart­phone che informa gli utenti sui diritti legali degli sta­gi­sti, for­ni­sce aggior­na­menti sui social media da gruppi di pres­sione, e aiuta a cal­co­lare i salari dovuti. La bat­ta­glia degli sta­gi­sti è un passo in avanti per la poli­tica del lavoro.

Se que­sti gruppi riu­sci­ranno a costrin­gere i governi a imporre con mag­gior rigore il rispetto delle norme esi­stenti, o se denun­ce­ranno il com­por­ta­mento di sin­gole aziende spin­gen­dole a imple­men­tare stage «etici», un pro­gresso signi­fi­ca­tivo sarà stato fatto. Ma sarà anche stata persa l’opportunità di nomi­nare, e di com­bat­tere, un pro­blema più ampio. Gli stage non retri­buiti non sono una que­stione iso­lata. Sono solo una delle molte forme di lavoro gra­tuito fio­rente nei set­tori più cele­brati delle indu­strie crea­tive: il gior­na­li­smo par­te­ci­pa­tivo for­ni­sce foto­gra­fie, arti­coli e com­menti a grandi net­work pri­vati; chi par­te­cipa gra­tui­ta­mente ai rea­lity prende il posto degli attori retri­buiti in pro­grammi con un copione; e scrit­tori pro­fes­sio­ni­sti lavo­rano gra­tui­ta­mente per grandi cor­po­ra­tions. Il com­bi­nato dispo­sto di stage seriali e zero salari è la sva­lu­ta­zione del lavoro, la depres­sione dei salari in tutto il mer­cato del lavoro, e l’assuefazione di una gene­ra­zione di lavo­ra­tori inde­bi­tati a pas­sare da un lavoro occa­sio­nale all’altro con poche aspet­ta­tive dei loro datori di lavoro.
Il lavoro non retri­buito è emerso come una que­stione calda per gli atti­vi­sti. Con­si­de­riamo una man­ciata di esempi negli Stati Uniti. Il gruppo W.A.G.E. (Wor­king Artists and the Grea­ter Eco­nomy) si sta bat­tendo affin­ché gli arti­sti siano ricom­pen­sati, quando espon­gono le loro opere nelle gal­le­rie, con qual­cosa di più della sem­plice «espo­si­zione». La Model Alliance sta richia­mando l’attenzione sull’uso, invalso nell’industria della moda, di pagare le modelle con i vestiti. Paga l’autore!, una cam­pa­gna orga­niz­zata da Natio­nal Wri­ters Union, sta met­tendo in discus­sione il fatto che gli autori non ven­gano pagati su siti come l’Huffington Post. La Free­lan­cers Union sta spin­gendo per una Unpaid Wages Bill per aiu­tare i lavo­ra­tori free­lance i cui clienti non pagano. I tempi stanno diven­tando maturi per una cam­pa­gna tra­sver­sale con­tro il feno­meno del lavoro non retri­buito che include gli sta­gi­sti, ma è più vasto. Molto più vasto. Sotto il capi­ta­li­smo, tutti i lavo­ra­tori subi­scono il pro­blema del lavoro non retri­buito, ossia quelle parti dei nostri giorni, delle nostre set­ti­mane o vite che gene­rano valore eco­no­mico ma per cui non rice­viamo in cam­bio alcun com­penso eco­no­mico. Per­ciò, anche se gli sta­gi­sti sono cana­rini nella miniera dell’economia dell’austerity, il mes­sag­gio degli sta­gi­sti atti­vi­sti, in sin­tesi, con­si­ste al 99% in que­sto: Non ti svendere.

*Enda, Nicole, and Greig col­la­bo­rano a un pro­getto di ricerca sulle poli­ti­che del lavoro nelle indu­strie crea­tive – www?.cul?tu?ral?wor?ker?sor?ga?nize?.org

Greig de Peu­ter inse­gna presso il dipar­ti­mento di studi sulla comu­ni­ca­zione della Wil­frid Lau­rier Uni­ver­sity.
Nicole Cohen è assi­stant pro­fes­sor presso l’Institute of Com­mu­ni­ca­tion, Cul­ture and Infor­ma­tion Tech­no­logy, Uni­ver­sity of Toronto Mis­sis­sauga.
Enda Bro­phy inse­gna presso la School of Com­mu­ni­ca­tion, Simon Fra­ser University.

L’articolo è stato pub­bli­cato su Action il 9 novem­bre 2012
Tra­du­zione di Marina Impallomeni



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