by redazione | 2 Giugno 2014 8:56
ROMA . «La logica dei Grandi eventi si è rivelata fallimentare. Il governo deve ritirare le quattro ordinanze della Presidenza del consiglio, quella del 2007 e le altre tre del 2010, che consentono di derogare al Codice degli appalti». A parlare è Sergio Santoro, il Garante per la vigilanza dei contratti pubblici, l’autore del dossier inviato al commissario dell’Expo Raffaele Cantone, di cui ieri Repubblica ha dato conto.
Annullarle adesso, però, significherebbe non fare l’Expo.
«Vero, non è possibile farlo ora perché molte imprese hanno ottenuto lavori in modo legittimo, affidandosi alle ordinanze. Ma dopo l’Expo dobbiamo chiudere l’era dei Grandi eventi, non ha senso utilizzare l’urgenza e le deroghe per appuntamenti di cui si conosce la data 8 anni prima, come nel caso dell’Esposizione di Milano».
C’è chi sostiene che senza norme speciali in Italia non si riescano ad organizzare G8, mondiali di nuoto, celebrazioni come quella per i 150 anni dell’Unità d’Italia per colpa della burocrazia asfissiante.
Lei cosa ne pensa?
«Non è così, col sistema Grandi eventi non si accelerano gli affidamenti, si scavalcano invece regole che sono a garanzia del mercato del lavoro e dei servizi. Se non c’è una reale urgenza, come nel caso di una calamità naturale, si turba il mercato, perché si impedisce a molte imprese di partecipare alle gare».
E così, con procedure ristrette e gare senza pubblicazione di bando, vincono sempre i soliti.
«Mi pare evidente, e si sapeva dal 2007 che sarebbe finita così. Ma il male maggiore è la corruzione: purtroppo è presente nei lavori assegnati a norma di Codice degli appalti, figuriamoci in quelli che lo derogano».
Il dossier sull’Expo è stato completato pochi giorni fa.
Non potevate farlo prima?
«Non eravamo tenuti a farlo: l’Authority, come la Corte dei Conti, è stata esclusa dalla vigilanza. Poi abbiamo visto, proprio sul vostro giornale, che dopo lo scandalo e gli arresti è emerso il tema delle ordinanze del governo, e allora ci siamo chiesti cosa avremmo fatto se non ci fossero state. Ma l’allarme l’avevamo già
lanciato».
Quando?
«È dal 2008 che nelle relazioni al Senato e alla Camera, l’ultima delle quali il 16 aprile scorso, segnaliamo l’inesistenza dei presupposti di urgenza per l’Expo e i rischi dell’affidamento delle commesse fuori dalla disciplina comunitaria».
Reazioni?
«Nessuna. Ma le istituzioni sapevano».
Con voi in campo non ci sarebbero stati i Maltauro, i Frigerio e i Greganti, sta dicendo questo?
«Non lo posso sapere. Di sicuro avremmo fatto un monitoraggio continuo dei costi e della congruità
dei prezzi».
Avete prodotto il dossier perché temete che il governo voglia sopprimere la vostra agenzia?
«Assolutamente no. La proposta di soppressione, in virtù del piano di spending review di Cottarelli, è arrivata dal capo di gabinetto del ministero delle Infrastrutture. Un’assurdità, visto che quel dicastero è anche una stazione
appaltante. L’Authority non si regge sul denaro pubblico, ci finanza il mercato con il “contributo gare”».
Il vostro rapporto è nelle mani di Cantone. Cosa vi aspettate?
«Ci proponiamo di collaborare con lui, ma non è una mossa per sovrapporci al suo ruolo. Se vuole, gli mettiamo a disposizione strutture, uffici tecnici, la banca dati, i nostri esperti della vigilanza. Ma la scelta se accettare o no sarà sua».
Può accadere che qualche contratto, prima del 2015, venga annullato?
«Non abbiamo potere di farlo, altrimenti saremmo un tribunale amministrativo. I contratti possono essere annullati o per effetto di un ricorso oppure con una delibera di Expo. Il compito di una autorità come la mia è di moral suasion, di evidenziare le criticità».
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