Argentina. Cristina Fernandez contro gli avvoltoi

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Gli avvol­toi incom­bono sull’ Argentina. A quasi 12 anni dalla crisi che, tra il 2001–2002, portò il paese in default, un nuovo peri­colo grava sull’economia e sulle scelte della pre­si­dente Cri­stina Fer­nan­dez. Un’eredità di quel periodo, quando il paese decise di ristrut­tu­rare il pro­prio debito pub­blico. Ora, una sen­tenza della Corte suprema degli Stati uniti ha respinto il ricorso di Bue­nos Aires in merito ad alcuni fondi spe­cu­la­tivi (hedge fund) che ave­vano rifiu­tato di nego­ziare il rim­borso. Tra que­sti, prin­ci­pal­mente Aure­lius Capi­tal e Elliott Mana­ge­ment. L’Alta corte Usa ha con­fer­mato la deci­sione dei tri­bu­nali minori che hanno impo­sto all’ Argentina di cor­ri­spon­dere ai «fondi avvol­toi» 1,3 miliardi di dol­lari, inte­ressi comprensi.

La sca­denza è a breve, Bue­nos Aires deve cor­ri­spon­dere una prima parte del dovuto (pari a 13 miliardi) ai pos­ses­sori di bond che hanno a suo tempo accet­tato la trat­ta­tiva (con sca­denza 2033), entro fine giu­gno. E i cre­di­tori potreb­bero richie­dere il seque­stro dei fondi che il paese deve tra­sfe­rire a New York per ono­rare il suo debito già ristrut­tu­rato.
Il caso torna dun­que al tri­bu­nale pre­ce­dente, ovvero nelle mani del giu­dice Tho­mas Griesa che ordinò di cor­ri­spon­dere i paga­menti agli «avvol­toi». Per il governo di Cri­stina Fer­nan­dez, si tratta di una deci­sione che viola la sovra­nità del paese, e i fondi avvol­toi – capi­tale inve­stito in un paese che neces­sita di aiuto eco­no­mico per poterlo in seguito recu­pe­rare nella sua tota­lità e con gli inte­ressi attra­verso con­ten­ziosi giu­ri­dici – rap­pre­sen­tano un’estorsione. «L’ Argentina – ha dichia­rato la pre­si­dente in un lungo discorso tele­vi­sivo – ono­rerà il pro­prio debito ristrut­tu­rato, ma non accet­terà estor­sioni: non vogliamo essere com­plici di chi è dispo­sto a fare affari sulla mise­ria della gente». Intanto, gli avvo­cati stanno cer­cando solu­zioni alternative.

Fer­nan­dez ha detto di aver già dispo­sto il paga­mento dei 930 milioni di dol­lari pat­tuiti, even­tual­mente in una desti­na­ziona diversa da quella di New York, per evi­tare even­tuali azioni da parte del giu­dice Griesa. Ha poi riper­corso le ori­gini del debito estero, accu­mu­lato in modo espo­nen­ziale a par­tire dal colpo di stato mili­tare del 1976. Una situa­zione – ha detto — «che ha messo le gana­sce all’economia argen­tina», ha distrutto l’apparato pro­dut­tivo e la coe­sione nazio­nale e ha espo­sto il paese alla povertà, alla mise­ria, alla disoc­cu­pa­zione e alla marginalità.

E con il ritorno alla demo­cra­zia non è andata meglio: «durante i primi anni ’80 e poi nei ’90 — ha insi­stito la pre­si­dente — con il cosid­detto regime di con­ver­ti­bi­lità, con la fin­zione che un peso fosse uguale a un dol­laro, il paese si inde­bitò in maniera ter­ri­bile». Le due suc­ces­sive ope­ra­zioni per rine­go­ziare il debito (nel 2000 e nel 2001) non furono — ha poi iro­niz­zato — che magheggi fra il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale e alcuni cre­di­tori, senza tor­na­conto per il paese. E così, mesi dopo, nell’ Argentina schiac­ciata dai con­ti­nui piani di aggiu­sta­mento strut­tu­rale impo­sti dall’Fmi, «scop­piò il default del debito sovrano più grande della sto­ria, con un debito pari al 160% del Pil, una disoc­cu­pa­zione del 25% e la povertà al 50%».
Una difesa a spada tratta della sovra­nità e delle scelte economico-finanziarie decise prima dal governo di Nestor Kirch­ner e poi dal suo e già cri­ti­cate a più riprese dall’Fmi: che accusa Fer­nan­dez di truc­care le sta­ti­sti­che sul livello dell’inflazione e della crisi eco­no­mica. «Non ci sarà default», ha assi­cu­rato la pre­si­dente che, già in Twit­ter aveva rispe­dito al mit­tente i giu­dizi dell’Fmi: «Vi siete arric­chiti rovi­nando il mondo — aveva scritto — Dov’era il Fondo che non ha avver­tito sulle crisi anche quando sono scop­piate, non bolle, ma pal­loni aero­sta­tici finan­ziari?». E ancora: «In dieci anni, e senza finan­zia­menti Fmi, il Pil è cre­sciuto del 90%, oggi il paese ha il 6,9% di disoc­cu­pa­zione e porta avanti ll’inclusione sociale».
Fran­cia, Mes­sico, Bra­sile e un gruppo di par­la­men­tari bri­tan­nici hanno cer­cato di pero­rare in pre­ce­denza la causa argen­tina, rile­vando l’importanza del con­ten­zioso a livello glo­bale. E in molti spe­ra­vano che, prima di chiu­dere la ver­tenza, si sarebbe richie­sto un inter­vento di Obama.

Invece l’Alta Corte ha deciso per conto suo: get­tando in fac­cia al governo argen­tino l’assenza di sovra­nità giu­ri­dica accu­mu­lata nella decade degli anni ’80 in favore di paesi del cen­tro in mate­ria di emis­sione del debito. Un mec­ca­ni­smo messo in campo a metà degli anni ’70 in tutta l’America latina, ali­men­tato dal rici­clag­gio dei petro­dol­lari da parte delle grandi ban­che inter­na­zio­nali che hanno impo­sto ai paesi cre­di­tori una coper­tura giu­di­zia­ria stra­niera in cam­bio del rifi­nan­zia­mento del debito.

Ma oggi la situa­zione è cam­biata. Un vento di sovra­nità spira in Ame­rica latina. L’ Argentina ha chie­sto aiuto ai paesi riu­niti in Boli­via per il ver­tice del G77 più Cina. Un lungo capi­tolo della dichia­ra­zione finale riguarda pro­prio le con­tro­mi­sure da pren­dere, in modo con­cor­dato, per evi­tare le estor­sioni degli avvol­toi. «I pro­cessi di ristrut­tu­ra­zione del debito — dice — devono avere come ele­mento cen­trale la defi­ni­zione della capa­cità reale di paga­mento, in modo che non si col­pi­sca la cre­scita eco­no­mica né la rea­liz­za­zione degli Obiet­tivi di svi­luppo del Mil­len­nio, gli Obiet­tivi di svi­luppo soste­ni­bile e l’agenda per il 2015. Riba­diamo la neces­sità urgente che la comu­nità inter­na­zio­nale esa­mini le diverse opzioni per sta­bi­lire un mec­ca­ni­smo inter­na­zio­nale di solu­zione al pro­blema del debito: che sia effi­cace, equo, dura­turo, indi­pen­dente e orien­tato allo sviluppo».



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