Bombe, sequestri, kamikaze Così Isis ha oscurato Al Qaeda

by redazione | 12 Giugno 2014 9:46

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WASHINGTON — L’ Isis è una tribù di guerra. Un movimento ben organizzato. Con un’agenda che non tiene conto dei confini coloniali. Dunque punta alla creazione di uno Stato islamico che, per ora, ingloba una parte di Siria e di Iraq. Un punto di partenza e non di arrivo.
Il successo nella provincia di Ninive è l’inevitabile conseguenza di una lunga campagna, portata avanti con determinazione e favorita dall’incapacità dei governativi, poco disposti a battersi e mal guidati. L’ Isis ha intensificato gli attacchi a partire dal 2012 alternando terrore e guerriglia. Al pari di altre fazioni islamiste ha dosato le tattiche. Dove aveva già una presenza territoriale ha evitato attacchi indiscriminati mentre in aree in mano al nemico ha impiegato la falce, con largo uso di attentatori suicidi. Chiunque doveva pagare. La discriminazione di Bagdad nei confronti dei sunniti ha fatto il resto, spingendo molte tribù a ribellarsi al regime sciita. Oggi l’ Isis è la punta di lancia, ma in parallelo si muovono gruppi minori, alcuni reduci della resistenza agli Usa. Nazionalisti, islamici, ex baathisti celati dietro tante etichette. Non vanno d’accordo tra loro, ma sono uniti nel picchiare sui lealisti.
Al centro della strategia dettata dall’emiro del movimento, Abu Bakr Al Baghdadi, tre punti, che troviamo tanto in Iraq quanto in Siria. Primo. Ripulire l’area dal nemico. Secondo. Controllarla in modo ferreo. Terzo. Costruire il consenso. E in omaggio a questi dogmi l’ Isis ha perseguito in modo spietato alcuni obiettivi. Intanto la cacciata degli sciiti. Quindi la lotta alla Sawa, la milizia anti-qaedista. Tenendo in mente questi bersagli, ha puntato alcuni luoghi simbolo. Ramadi, Falluja e infine Mosul. Solo il tempo dirà se l’Isis riuscirà a «tenere»: spesso, con le sue rigide regole di vita e le esecuzioni sommarie, ha spaventato i civili. Flessibile il modus operandi. Per rendere insicure le strade l’Isis ha impiegato un gran numero di ordigni improvvisati. Quindi ha preso di mira gli avamposti. Con manovre sempre più sofisticate è stato in grado di assaltare le prigioni. Nel quadro della «pulizia etnica» si è dedicato alla distruzione delle case di agenti e soldati. Terra bruciata per indebolire l’avversario. Infine raffiche di autobomba. In particolare nei quartieri sciiti di Bagdad. Numerosi gli attentatori suicidi. Tra loro molti gli stranieri. Di recente la fazione ha diffuso informazioni sugli attacchi kamikaze condotti nei 16 «wilayat», i distretti, dove l’Isis vanta una sua presenza. La fascia esplosiva è stata indossata da francesi, danesi, russi, nord africani, arabi del Golfo. A conferma di un carattere trasnazionale.
Tutto questo è stato reso possibile da una rete autonoma. Secondo gli Usa il movimento dispone di diverse fonti economiche: singoli individui e associazioni private; tassa rivoluzionaria; estorsioni; sequestri di persona in Iraq e in Siria. Nella sola Mosul — dicono le autorità — i jihadisti sono stati capaci di raccogliere cifre consistenti ogni mese. E questo ben prima di innalzare il loro vessillo nero. Le cifre oscillano tra 1 e 8 milioni di dollari. A queste si somma il bottino saccheggiato nelle banche in queste ore. E non va dimenticato che il conflitto siriano ha portato armi, riscatti, combattenti e prestigio.
Arriviamo così alla sfida interna. Al Baghdadi prima si è scontrato con i gruppi ribelli «pragmatici» in Siria, poi ha messo in discussione l’autorità del leader qaedista Ayman al Zawahiri. E dopo averne ignorato la scomunica ne ha preso le distanze convinto di essere molto più autorevole. Lui ha la tunica sporca della battaglia e non quella immacolata indossata dal dottore egiziano nei rari video. Una scelta premiata da altre organizzazioni mediorientali che hanno pronunciato un giuramento di fedeltà in favore dell’ Isis. Solo gli ideologi «anziani» sono rimasti legati alla vecchia guardia. Uno scisma storico. Oggi a far paura è l’ Isis e non Al Qaeda.
Guido Olimpio

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