C’è l’accordo, ecco come cambierà il Senato

by redazione | 21 Giugno 2014 9:55

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ROMA — L’annuncio arriva tra il primo e il secondo tempo di Italia-Costa Rica. L’accordo sulle riforme costituzionali diventa ufficiale: gli emendamenti al testo del governo e le norme transitorie sono già in commissione. Le polemiche subito dopo la fine della partita. Con il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli che rivendica il successo della linea federalista. E il premier Matteo Renzi che dice ai suoi: «Calderoli prova a rigirare la frittata facendo finta di avere vinto, ma chi conosce la vicenda sa come sono andate le cose».
Ma ecco il testo che mette fine al bicameralismo perfetto e affida alla sola Camera dei deputati il voto di fiducia al governo. I senatori saranno cento (ora sono 315), tutti coperti da immunità parlamentare (il testo del governo applicava solo ai deputati l’articolo 68). Cinque, inclusi quelli in carica, saranno nominati dal presidente della Repubblica, non più a vita, ma in carica 7 anni non rinovabili. Altri 74 verranno scelti tra i membri dei Consigli regionali e 21 tra i sindaci (uno per Regione più uno ciascuno per le Province autonome di Trento e di Bolzano). La durata del mandato dei senatori coincide con quella delle amministrazioni alle quali appartengono. Viene quindi confermata l’elezione indiretta, anche se le modalità saranno oggetto di una futura legge ordinaria.
I costi standard che le Regioni sprecone non potranno superare saranno in Costituzione sotto il nome di «indicatori di riferimento». Ci sarà una nuova ripartizione delle materie di competenza delle Regioni e dello Stato. Eliminata la legislazione concorrente, che è stata alla base di infiniti conflitti presso la Corte costituzionale. Allo Stato andranno le materie più importanti, dalla politica estera all’immigrazione, dall’energia alla difesa. Alle Regioni settori come «la pianificazione del territorio» e «organizzazione dei servizi sanitari e sociali». La Camera manterrà invece l’attuale numero di 630 deputati che parteciperanno all’elezione del presidente della Repubblica insieme ai 100 senatori e a tre delegati per ogni Regione, eletti dai Consigli regionali (con parità di genere). La Valle d’Aosta ne avrà uno.
Ma ci sono anche altre novità di rilievo. La legge elettorale sarà sottoposta a giudizio preventivo della Corte costituzionale (se verrà richiesto dai 2 quinti dei componenti di una Camera) che deve arrivare entro un mese. E non si potranno più inserire materie «estranee» all’oggetto dei decreti da approvare. E il governo potrà chiedere di approvare i suoi disegni di legge entro 60 giorni, con una corsia preferenziale. Le firme per i referendum popolari saliranno da 50 mila a 300 mila.
Il Senato potrà chiedere di esaminare una legge entro dieci giorni dall’approvazione della Camera su richiesta di un terzo dei suoi membri. Ma l’ultima parola spetterà alla Camera. Per leggi che hanno impatto su Regioni e Comuni Montecitorio dovrà pronunciarsi a maggioranza assoluta. Palazzo Madama, insieme alla Camera, manterrà comunque le competenze sulle riforme costituzionali. Vengono definitivamente abolite le Province.
«C’è la quadra», canta vittoria Calderoli. Soddisfatto di aver portato a casa, «dopo una notte di discussione con la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro», i costi standard e la nuova ripartizione dei ruoli tra «Regioni, non più residuali» e Stato.
Ma Renzi rassicura i suoi. Nessun cedimento alla Lega: «Il Senato non sarà elettivo. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, promozione turistica sono materie che passano dalle Regioni allo Stato, il Cnel viene abolito, le indennità dei consiglieri regionali diventano come quelle dei sindaci. Si tratta di un ottimo punto di arrivo». E la stessa Finocchiaro prevede che «la riforma sarà votata entro luglio in Aula».
Ma sull’accordo pesa l’incognita di Beppe Grillo che chiede solo ora di sedersi al tavolo delle riforme. Mercoledì è fissato l’incontro tra Pd e Cinquestelle e martedì il partito di Renzi sceglierà la delegazione. Maria Elena Boschi ha rassicurato Forza Italia: «Non si cambia partner all’ultimo momento». E il Cinquestelle Alessandro Di Battista ha postato su Facebook: «Forza Italia è un partito nato con il beneplacito di Cosa Nostra». Causando la levata di scudi forzista. «Di Battista è un bambino capriccioso che pesta i piedi perché non lo fanno giocare», attacca Mariastella Gelmini.
Virginia Piccolillo

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