«Convivere è peggio che uccidere», la frase choc del parroco

Don Tarcisio la scomunica la darebbe a chi convive, non solo ai mafiosi. Non dice proprio così, ma si potrebbe dedurre dalle sue affermazioni pubblicate sulla Lettera alle famiglie , il bollettino parrocchiale distribuito ai suoi fedeli di Cameri, nel Novarese. «Chi contrae un matrimonio civile vive in una infedeltà continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per esempio un omicidio), di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la coscienza richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento sincero».
Di più. Chi convive, o, come si diceva una volta, vive nel peccato, non può «insegnare al figlioccio la corretta via cristiana» perché — appunto — «per primo» si è «smarrito vivendo pubblicamente in peccato grave».
Se le intenzioni erano quelle di introdurre il tema del sacramento della comunione, l’esito è stato disastroso. I parrocchiani, dopo un momento di incertezza, si sono inalberati: possibile che sia questa la Chiesa madre e non matrigna alla quale papa Francesco fa riferimento in ogni occasione utile?
E a mettere una pezza sulla falla ci ha dovuto pensare addirittura il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, che ha manifestato subito «una netta presa di distanza sia dai toni che dai contenuti del testo per una inaccettabile equiparazione, pur introdotta come esempio, tra convivenze/situazioni irregolari e omicidio; l’esemplificazione, anche se scritta tra parentesi, risulta inopportuna e fuorviante e quindi errata». Ed è l’alto prelato a chiedere «sinceramente scusa a tutti coloro che si sono sentiti offesi dalle fuorvianti affermazioni del testo pubblicato sul bollettino parrocchiale di Cameri».
C’è da dire che alcuni difendono don Tarcisio, riconosciuto come persona mite e pacata nei toni, che probabilmente ha solo fatto un pasticcio tra le parole e le intenzioni. Il sacerdote si trova in Irlanda per un pellegrinaggio e il suo cellulare risulta staccato senza interruzione. Tuttavia ha fatto arrivare una lettera ai suoi concittadini, affidata al viceparroco, che il quotidiano online ilvenerdiditribuna.it ha trascritto. «È vero: le parole scelte sono state inopportune e sbagliate nei modi», esordisce il parroco utilizzando frasi che sembrano copiate e incollate dal messaggio pubblicato dal vescovo Brambilla sul sito Internet della Curia. «Inopportune e sbagliate perché semplificano una realtà che è complessa, che tocca le coscienze di ognuno e le sofferenze e le fatiche di moltissime persone. Inopportune e sbagliate nei modi perché dalle parole di quello scritto non emerge il volto di una Chiesa madre. Il tema delle separazioni e delle convivenze sarà ampio argomento di discussione: Papa Francesco lo ha già messo al tavolo per il prossimo Sinodo dei Vescovi che si terrà nel prossimo mese di ottobre».
Curiosamente, questo passaggio è identico nei due interventi: quello del sacerdote e quello del vescovo. Ciò che cambia è il finale. Don Tarcisio saluta i fedeli con una richiesta: «Vi chiedo di pregare per me, per i sacerdoti che animano la nostra parrocchia e per tutta la nostra comunità parrocchiale e per tutta la Chiesa novarese, perché sappia essere sempre più una chiesa madre». Non chiede scusa. Non ancora.
Elvira Serra
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