La Corte costituzionale in Portogallo abroga i tagli ai salari

Quella che si vive in Portogallo è una situazione sempre più paradossale: da un lato c’è il governo di Pedro Passos Coelho che adotta misure per ridurre diritti e retribuzioni in nome della crescita sostenibile, dall’altra una corte costituzionale che uno via l’altro boccia buona parte di quei provvedimenti e, infine, un’economia che ad ogni allentamento della morsa austeritaria riprende a crescere.
Il nuovo epilogo è di venerdì scorso quando, in seguito a una richiesta di controllo di costituzionalità da parte dei partiti dell’opposizione contro 4 provvedimenti dell’Orçamento do Estado 2014 (Oe 2014), il Tribunale Costituzionale (Tc) accetta il ricorso per ben 3 dei 4 articoli e ne statuisce l’abrogazione immediata. Dei tre, uno, il 33, ha un impatto e un’importanza centrale, perché architrave dell’intero processo di riduzione del deficit voluto dalla Troika e condiviso ampiamente dall’esecutivo: quello della «riduzione remuneratoria» dei funzionari pubblici.
Una questione che viene da lontano, certo, perché le «temporanee» «riduzioni remuneratorie» del 3,5 e 10%, applicate sui redditi a partire dai 1500 euro erano già entrate in vigore fin dal 2011. Tuttavia, con l’articolo 33 dell’Oe 2014, il governo Coelho ha voluto allargare ulteriormente sia il campo di applicazione, abbassandolo fino ai redditi di 675 euro, sia le aliquote, accresciute fino al 12%.
La sentenza abrogativa dell’articolo 33 emessa dal Tc si basa su di un principio considerato inderogabile: il diritto fondamentale dei cittadini a ricevere la propria remunerazione, un diritto violabile esclusivamente nel caso in cui il «bene costituzionale» possa risultarne altrimenti compromesso e, quindi, da intendersi come strettamente temporaneo. Nell’interpretazione dei giudici, e contrariamente a quanto ribadito dal governo, dopo 4 anni tali tagli sono da considerarsi permanenti e quindi non congruenti alla costituzione. Questo significa che da giugno gli stipendi pubblici torneranno a essere quelli che erano nel 2010 e, fatti i calcoli, quella che si apre nei conti è una voragine di ben 1,2 miliardi. Ora la palla passa nel campo del governo ed è probabile che verranno annunciati ulteriori giri di vite per reagire a quella che il primo Ministro ha definito eufemisticamente come un’«enorme avversità».
Se dalle elezioni europee non è arrivata la delegittimazione definitiva contri i partiti di centro-destra da tre anni artefici di una perversa e contradditoria dialettica, questa è arrivata da parte dei giudici di Palácio Ratton. Dal testo della sentenza emerge una battuta di arresto non solo rispetto a 3 dei 4 provvedimenti oggetto di scrutinio, ma anche, e soprattutto, per un intero impianto politico che comprometterebbe l’idea di giustizia che l’Europa ha sempre mostrato di volere difendere. I giudici hanno ricordato che il principio di uguaglianza e proporzionalità non è derogabile e che ci sono delle linee rosse che non possono essere oltrepassate, confini statuiti in una dettagliatissima costituzione di stampo antifascista.
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