Così è nata la svolta Ue L’appello per la crescita e gli spiragli di Merkel

by redazione | 29 Giugno 2014 17:23

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BRUXELLES — Davvero Merkel l’inflessibile diventerà flessibile con l’Italia? Risposta diretta, dal giornale tedesco «Der Spiegel»: «Il rivale più pericoloso di Angela Merkel è Matteo Renzi». Non è un infatti un vecchio socialista, e ha vinto promettendo riforme. Ma poiché «l’Italia ha rinviato per troppo tempo le riforme strutturali», ora Renzi «spera che l’indebolimento del patto di Stabilità potrà dargli la flessibilità necessaria per intervenire sulle questioni principali del suo Paese: però Merkel è decisissima a impedirglielo» (di conquistare flessibilità, ndr ).
Allora il vertice Ue delle ultime ore, con quella promessa generale di «flessibilità», non è stato che la solita mongolfiera, lanciata nel cielo delle promesse europee? Non proprio. La stessa cancelliera tedesca ha chiarito che la virata verso la crescita, e la possibilità di avere più tempo per risanare i propri bilanci, rientrano già nei margini del patto di Stabilità, e il patto non verrà dunque infranto, né verranno violati i limiti posti al deficit rispetto al Prodotto interno lordo (tetto del 3%). I principi sono salvi. Almeno formalmente. Ma che cos’altro sta facendo la Francia, con un deficit che nel 2013 ha toccato il 4,3% del Pil con il permesso ufficiale di Bruxelles, se non sfondare il patto di Stabilità?
Esiste certo un orizzonte di ambiguità. Non tutto si deve però alla (necessaria) doppiezza delle capitali. Da quest’ultimo vertice della Ue, traluce soprattutto una necessità condivisa: tutti hanno accettato l’appello alla crescita attraverso la flessibilità, perché tutti ne hanno assai bisogno. Perfino i ricchi del Nord. Le parole saranno anche vuote, ma intanto rompono il vecchio tabù merkeliano — tenaglie ai debiti, e a dieta anche i magri — per approdare al nuovo spiraglio: investire molto, e tutti, per creare lavoro e innovazione. I fatti poi seguiranno, se seguiranno.
Qualche esempio? L’Olanda, fino a ieri alleato fedelissimo della Germania e nazione più che benestante, ora logorata da una recessione non durissima, ma persistente: deficit al 3,2% del Pil (oltre il 3% europeo), debito pubblico al 73,8% (tetto medio Ue: 60%), tasso di occupazione -0,6%, e così via. La Finlandia, un tempo altro braccio destro del rigorismo di Berlino: rapporto deficit/Pil meno 2,3%, crescita del Pil pressoché ferma a +0,2% rispetto al 2013, quasi un velocista con i crampi. Ma alla fine, cerca flessibilità anche la stessa Germania, sebbene metà del suo governo la esorcizzi a parole, o tace: il rapporto deficit/Pil è ghiacciato su un inquietante 0,00%, il debito pubblico è al 76% del Pil, l’export va naturalmente a gonfie vele (5% rispetto allo 0,8% del 2013), ma Berlino sa molto bene che ha bisogno di clienti disposti a spendere, oltre frontiera, e non di dannati dell’austerity in attesa di un prestito.
La promessa di flessibilità giunta da Bruxelles non è dunque la solita mongolfiera spinta dall’aria calda, e ha una molla economica concreta che le dà slancio. In più, una giustificazione politica: la stabilità garantita dall’accordo socialisti-popolari all’Europarlamento, e da Jean-Claude-Juncker alla guida della Commissione (come dire: «Ora, si può rischiare la virata»). C’è infine un probabile fattore psicologico: il timore di rivolte sociali, in autunno, se dopo sette anni l’Ue tornasse a dire che la crisi si risolve con un lucchetto in più al borsellino, 10 o 12 vertici con cena annessa, e niente più.
Ma non si può dimenticare neppure che Angela Merkel, per tornare allo «Spiegel», «crede che il Fiscal compact sia una delle poche conseguenze significative che l’Europa ha tratto dalla sua crisi debitoria e valutaria».
A settembre, si capirà già qualcosa. Nel frattempo, ma questo riguarda solo l’Italia, fra le raccomandazioni Ue di questa primavera ve n’è una che sembra ancora più importante della flessibilità: «Accrescere l’efficacia delle misure anticorruzione, compresa la revisione dei termini di prescrizione entro il 2014, e rafforzare i poteri dell’autorità nazionale anticorruzione». Le parole Mose ed Expo non compaiono nel testo. Ma è come se fossero il titolo stesso del documento.
Luigi Offeddu

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