Csm, pesano le parole di Napolitano Verso l’«assoluzione» di Bruti Liberati

ROMA — «Non ostensibile». Il vicepresidente del Consiglio della Magistratura, Michele Vietti, non ha voluto leggere davanti al Plenum del Csm la lettera «riservata» inviatagli dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a «tutela della credibilità» dell’ufficio giudiziario di Milano, guidato da Edmondo Bruti Liberati, «indebolito dall’eccesso di polemiche» sull’esposto del procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Un richiamo severo, affinché «si tenga conto del ruolo e delle responsabilità che la legge sull’ordinamento giudiziario attribuisce al capo dell’ufficio».
Il monito ha pesato nella stesura finale delle relazioni, che oggi, salvo imprevisti, arriveranno alla votazione finale, con esito pressoché scontato: l’archiviazione delle accuse a Bruti Liberati di aver compiuto violazioni nell’assegnazione e nella gestione delle inchieste Ruby, Sea, Expo. Sia pure con l’invio degli atti ai titolari dell’azione disciplinare per valutare se nel comportamento del capo, ma anche dell’aggiunto Robledo, ci siano illeciti.
Una raccomandazione che ha scatenato polemiche interne ed esterne al Consiglio. «Un diktat» l’ha definito, il forzista Maurizio Gasparri avanzando il dubbio che «abbia stoppato la procedura disciplinare per Bruti». Mentre al plenum del Csm si levavano critiche per la scelta di Vietti di non rendere pubbliche le parole del capo dello Stato. «Una pagina oscura del Csm» accusava il togato di Magistratura Indipendente (Mi), Angelantonio Racanelli, autore di una relazione di minoranza che chiedeva di riaprire l’istruttoria «lacunosa». «Né letta, né consegnata ai consiglieri? Una scelta surreale» attaccava il laico di centrodestra Nicola Zanon. «Capisco la prudenza raccomandata dal Papa, ma significa amputare il dibattito con una pressione implicita», aggiungeva il togato indipendente Nello Nappi. Firmatari, gli ultimi due, della proposta di archiviare le accuse a Bruti e di trasferire Robledo, che dopo l’esposto sarebbe diventato incompatibile con quell’ufficio.
Proposte oscurate nel dibattito proprio dall’arrivo del richiamo del presidente della Repubblica, scritto nel solco di un suo intervento del 2009. Un vero e proprio altolà per «evitare che il Consiglio assuma ruoli impropri dilatando, in via paranormativa, i propri spazi di intervento».
Un richiamo che rimarca come «la riforma dell’ordinamento del 2006 (tradotta nel decreto legislativo del 20 febbraio e sul punto non sottoposta a censure di illegittimità) abbia abrogato l’articolo 7 ter introdotto nell’ordinamento nell’89. E in tal modo ha differenziato lo status della indipendenza «interna del sostituto rispetto a quello del giudice». «I poteri di organizzazione dell’ufficio sono divenuti prerogativa del capo della procura — prosegue l’intervento del presidente —. Quindi al Csm non è più dato approvare progetti organizzativi del tipo di quelli che operano per gli uffici giudicanti, prevedendo financo sanzioni incidenti professionalmente e disciplinarmente sui capi degli uffici».
«La procura non è una caserma — protesta Racanelli nell’assemblea del Plenum —. Lo stesso Bruti Liberati difese il principio di specializzazione dei sostituti. Invece ora pensa di essere il padre-padrone della procura». E la discussione si fa animata. «Non si tratta di volere un procuratore legibus solutus , ma al contrario ispirato al senso di responsabilità», spiega la presidente della VII commissione Giuseppina Casella, chiarendo perché la sua relazione non ha più previsto la segnalazione disciplinare: «Nessuna retromarcia — tiene a precisare —. Lo ha già fatto la prima commissione evitando sovrapposizioni. E poi episodi come la “deplorevole dimenticanza”, ammessa da Bruti sul fascicolo Sea rimasto nel cassetto, non riguardano l’organizzazione dell’ufficio». Ancora più esplicito il presidente della prima commissione Mariano Sciacca: «Questa era una pratica delicatissima. Abbiamo cercato di evitare bombe ad orologeria contro una procura che svolge un ruolo cruciale».
Virginia Piccolillo
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