Esecuzioni di massa in rete: parte la jihad dei video

Esecuzioni di massa in rete: parte la jihad dei video

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MOSUL — Decine di giovani uomini, tanti in civile, vengono spinti a pedate, botte con i calci dei fucili e minacce sui cassoni aperti di almeno due camion. Teste incassate nel collo, macchie di sudore sulle magliette impolverate, lampi di puro terrore agli occhi. I miliziani sunniti sono quasi tutti vestiti in nero, tengono i Kalashnikov puntati ai loro petti. Mentre in sottofondo si odono gli inni della guerra santa, la seconda scena già preannuncia l’epilogo: i prigionieri sdraiati pancia in giù, mani legate dietro la schiena, in una buca scavata superficialmente. Infine gli spari, una vera esecuzione di massa, e i loro cadaveri, con il sangue che fuoriesce da testa e collo ad arrossare la terra. Gli esecutori urlano «Allah è il più grande» e promettono di liberare «tutto l’Iraq dai cani sciiti».
È questo l’ultimo delle centinaia di video diffusi negli ultimi giorni dal variegato universo della guerriglia sunnita, e specialmente dai militanti dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante», deciso a scalzare una volta per tutte il governo del premier sciita Nouri al Maliki. A loro dire i prigionieri fucilati in massa sono soldati governativi catturati nella caserma di Tikrit quando già avevano gettato le uniformi e cercavano la fuga. Tanto lascia credere sia l’ennesima testimonianza concreta delle brutalità su larga scala di cui è puntellata la guerra totale tra comunità sciita e sunnita. In verità c’è poco di nuovo. La «sfida dei video» caratterizza ormai da oltre tre anni lo scontro molto simile che insanguina la Siria. Ne abbiamo visti di ogni genere. Soldati di Bashar Assad che urinano sorridenti sulle teste di ribelli sunniti emergenti dalla terra appena prima di venire sepolti vivi a Hama. Oppure feriti dati alle fiamme, tagli di teste in puro stile afghano. E a loro volta militanti islamici di Aleppo che picchiano e torturano a morte lealisti appena catturati. In Iraq il fenomeno ha fatto capolino in maggio, quando elementi delle squadre speciali mandati da Maliki a pattugliare Mosul hanno diffuso i video ripresi dai loro telefonini mentre ai posti di blocco picchiavano e umiliavano civili sunniti. La novità dell’ultima settimana caratterizzata dalla stupefacente avanzata sunnita nel Nord e verso Bagdad sta però nel numero crescente di video dell’orrore. Un’arma di elementare propaganda psicologica a colpi di Facebook, YouTube e Twitter usata a piene mani dagli islamici volta a scoraggiare, spaventare e infine spingere il nemico alla fuga.
«Posso testimoniare che quei video funzionano. Sono stati uno dei motivi che hanno convinto a disertare me e tanti miei compagni. Ci dicevamo che non volevamo fare quella fine terrificante e a tutte le ore aprivamo Internet per vederne di nuovi», ci ha raccontato ieri il generale Mahdi Mohammad, 35 anni, alto ufficiale del Secondo Battaglione Carristi «Bagdad», di stanza a Bustania. «Io sono un soldato di professione, amo il mio Paese e sono pronto a difenderlo, ma sono anche un sunnita curdo. Purtroppo il governo Maliki negli anni aveva marginalizzato quelli come me a favore degli sciiti. Ultimamente eravamo rimasti solo 40 sunniti nel mio battaglione di oltre 700 uomini. E praticamente tutti ce ne siamo andati. Ho detto ai miei vecchi commilitoni sciiti che ormai io con questa guerra settaria non avevo nulla a che fare. Sono stati loro stessi a consigliarmi di partire. Alla fine mi sarei trovato a dover uccidere cittadini sunniti con il sostegno dell’Iran. Adesso sono tornato nella mia casa di Kirkuk e mi sono unito ai peshmerga inquadrati nelle forze militari nell’enclave curda». Parole che spiegano da sole i motivi che hanno spinto Maliki a ordinare il blocco totale di Internet e dei social media nelle zone del Paese ancora sotto suo controllo (circa la metà dell’intero territorio nazionale). Ieri a Mosul abbiamo potuto verificare che Internet era assente e la rete telefonica funzionava ad intermittenza. Censurati dal governo inoltre centinaia di video sui tre siti tradizionalmente utilizzati dagli islamici («Rojgull» e «Knnc» in arabo, «Postcurd» in curdo).
Pure, i combattimenti continuano. A Mosul gli elicotteri governativi ieri sono stati accolti a colpi di contraerea. Corre voce che in città sia apparsa tra le milizie sunnite anche Raghad Hussein, la figlia 46enne di Saddam Hussein, da tempo protetta dal governo giordano, diventata una delle icone del vecchio regime baathista e dal 2007 ricercata dalle autorità irachene con l’accusa di sostenere la guerriglia. Più volte ha fatto sapere di volere pubblicare «le memorie di mio padre». Nel Nord combattimenti gravi stanno avendo luogo nella cittadina a popolazione mista di Tel Afar. Secondo i comandi governativi, circa 300 «terroristi» sarebbero stati uccisi nelle ultime 24 ore. Maliki sta inviando i nuovi battaglioni di volontari sciiti a Samarra, un centinaio di chilometri da Bagdad, e da qui punta a lanciare l’offensiva per la riconquista del Nordovest. Pure, anche questa «linea nella sabbia» è già stata superata. La notizia della serata è infatti che le avanguardie sunnite hanno espugnato la guarnigione lealista di Baquba, 50 chilometri più avanti. La chiusura dell’aeroporto internazionale nella capitale si fa adesso una realtà molto possibile. In centro città una serie di esplosioni ha causato 15 morti e 30 feriti.
Lorenzo Cremonesi


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