Otto euro al giorno ai detenuti in meno di tre metri

by redazione | 6 Giugno 2014 13:10

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ROMA — Con i provvedimenti già adottati e la promessa di nuovi interventi — a cominciare da un decreto legge da varare nei prossimi giorni — l’Italia evita l’annunciata condanna europea a risarcimenti milionari per i detenuti che hanno subito «trattamenti disumani e degradanti». Il governo ha superato l’esame davanti al comitato ministeriale del Consiglio d’Europa e guadagna un altro anno di tempo per mettere a posto la situazione delle carceri sovraffollate, che sarà rivalutata entro il giugno 2015. Cioè fra un anno. Con comprensibile, seppure contenuta, soddisfazione del Guardasigilli Andrea Orlando: «È il riconoscimento del lavoro svolto, ma si tratta di un punto di partenza. C’è ancora molto da fare. Aver risolto le urgenze non significa avere un sistema penitenziario all’altezza della civiltà del nostro Paese».
In effetti, più che risolto il problema è stato nuovamente spostato in avanti, grazie ai numeri che si è riusciti a ridurre e al decreto annunciato con la lettera d’impegno inviata a Strasburgo dal sottosegretario di Palazzo Chigi Graziano Delrio: al primo Consiglio dei ministri utile — se non oggi, com’era inizialmente previsto, appena saranno definiti testo e coperture finanziarie — sarà approvato un testo che introdurrà il «ricorso risarcitorio richiesto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo», per chi è stato ristretto al di sotto della soglia di spazio minima considerata non «disumana e degradante», cioè tre metri quadrati. Con la nuova norma chi ha presentato ricorso alla corte di Strasburgo (oltre seimila persone) potrà ora farlo in Italia, ottenendo un «rimedio compensativo»: uno sconto di pena se è ancora detenuto (si pensa a un giorno in meno di carcere per ogni dieci trascorsi nelle condizioni sanzionate dai giudici europei), oppure soldi se è già uscito di prigione (l’ipotesi è di 8 euro per ogni giorno trascorsi in spazi troppo ridotti). Una spesa considerevole per l’erario, ma inferiore di almeno la metà di quanto bisognerebbe pagare se i risarcimenti fossero stabiliti a Strasburgo. Con notevole risparmio per le casse dello Stato.
L’adozione di questo provvedimento è essenziale per ottenere il lasciapassare dell’Unione a un sistema carcerario che nel messaggio alle Camere dell’ottobre scorso il presidente della Repubblica definì «questione drammatica» da affrontare con urgenza, secondo «un imperativo giuridico e politico, e in pari tempo morale». In assenza dell’amnistia e dell’indulto suggeriti da Napolitano, il Parlamento ha varato altre leggi di minore portata che hanno consentito al governo di presentare a Strasburgo, lo scorso 27 maggio, una relazione nella quale è scritto, fra l’altro, che «attualmente, nessun detenuto è allocato in una cella con spazio vitale inferiore a 3 metri quadrati». Alla riga successiva, però, emerge un dato preoccupante: «18.687 detenuti hanno uno spazio vitale compreso fra 3 e 4 metri quadrati», cioè appena al di sopra dell’asticella fissata dalla Corte europea dei diritti umani.
Secondo l’ultimo aggiornamento, al 4 giugno quella cifra s’è ridotta a 16.700, ma resta comunque alta. Quasi il 30 per cento dei detenuti italiani ha a disposizione un ambiente che più o meno corrisponde a un letto a due piazze, e se la popolazione carceraria dovesse tornare a crescere rischia di scendere al di sotto degli standard considerati accettabili; con tutto quel che ne conseguirebbe per loro e per lo Stato che si troverebbe di nuovo ad essere condannato. Ecco perché nella relazione che fotografa la realtà attuale, il ministero della Giustizia mette in evidenza altri dati.
A parte il costante decremento del numero dei reclusi (dai 68.258 del 30 giugno 2010 siamo arrivati ai 59.550 del 19 maggio scorso, grazie soprattutto a alla «liberazione anticipata speciale» e all’allargamento della possibilità di ottenere arresti domiciliari e affidamento ai servizi sociali per i condannati) vengono sottolineati gli effetti di altri interventi. Per esempio l’esperimento delle celle aperte di giorno per chi non rientra nei circuiti dell’Alta sicurezza o del «41 bis», grazie al quale oggi «i detenuti che usufruiscono di 8 ore di permanenza fuori dalle camere di detenzione sono 39.213, pari al 83,13 per cento del totale dei potenziali beneficiari (47.171). A essi vanno aggiunti gli 806 in semilibertà e i 1.322 che lavorano all’esterno del carcere». Come dire che laddove gli spazi sono ai limiti delle ristrettezze consentite, i detenuti hanno maggiore libertà di movimento, in modo da ridurre al minimo gli effetti negativi del sovraffollamento.

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