Ferrovieri e intermittenti, le proteste paralizzano Hollande
La Francia sta vivendo un momento di impasse politica e sociale, di cui è difficile vedere lo sbocco. Oggi sarà il settimo giorno di sciopero nelle ferrovie, che ha semi-paralizzato la circolazione dei treni, con lo psico-dramma di ieri mattina (che si ripeterà oggi) per far arrivare in orario i candidati al Bac (l’esame di maturità), che dura tutta la settimana, fino a lunedì prossimo compreso.
Gli intermittenti dello spettacolo, che hanno già bloccato alcuni tra i primi festival dell’estate, minacciano di annullare il Festival d’Avignon, il più importante (che inizia il 4 luglio, ma ieri c’è stato sciopero nel primo giorno di ripetizioni). François Hollande è sceso in campo nel fine settimana, ha evocato il ’36 e l’appello passato alla storia di Maurice Thorez (allora segretario del Pcf): «Bisogna saper mettere fine a uno sciopero».
Ancora più determinato a non cedere il primo ministro Manuel Valls, che drammatizza, anche contro il dissenso sempre più forte all’interno dei deputati Ps: «La sinistra può morire» e Marine Le Pen essere al «secondo turno dell’elezione presidenziale del 2017». Valls afferma che «non c’è alternativa» alle riforme e che quindi la sola strada è accettarle. Oggi, il Parlamento discute la legge ferroviaria contestata, mentre i dissidenti socialisti, assieme al Front de gauche e i Verdi, di preparano a dare battaglia all’inizio di luglio contro la legge rettificativa della finanziaria, per attaccare il Patto di responsabilità voluto da Hollande e accusato di concedere troppo al padronato.
Sindacati contro governo? Non è così semplice. Nel caso delle ferrovie, le organizzazioni dei lavoratori sono spaccate. La Cfdt e altre sigle minori hanno firmato un accordo con il governo che approva la riforma. Essa cancella nella forma – ma non nella sostanza, accusano i sindacati contestatori – la vecchia riforma del ’97, che, seguendo un’indicazione di Bruxelles, aveva in Francia come altrove diviso la gestione della rete ferroviaria da quella dei treni. Questa soluzione non ha funzionato.
Rff (la rete) soffoca sotto i debiti (ereditati dal passato) e la Sncf (treni) è dissanguata da pagamento dell’affitto dei binari. Il governo fa quindi marcia indietro e propone di riunificare le due società. Ma, per non farsi bocciare da Bruxelles, ha concepito un sistema a tre poli, con una società unica che dovrebbe coordinare Sncf e Rff.
La riforma era stata negoziata con la Cgt, che ora guida la protesta. I ferrovieri della base smentiscono così la direzione della Cgt, che li sostiene perché deve mantenere le posizioni di fronte alla più radicale Sud Rail. Al di là della riforma, i ferrovieri hanno fermato i treni per manifestare un malessere più generale: è una protesta che ha radici nel recente passato, nel «no» della Cgt al Trattato costituzionale europeo, nel rifiuto delle privatizzazioni a oltranza nel settore ferroviario e che oggi si radicalizza di fronte al degrado delle condizioni di lavoro e alle minacce di una temuta modifica del contratto di lavoro.
Gli intermittenti protestano contro un accordo raggiunto il 22 marzo scorso e che riduce i vantaggi dell’assegno di disoccupazione per i precari del mondo dello spettacolo (vedi il manifesto del 7 giugno). Il governo ha nominato, con ritardo, un mediatore per gli intermittenti, ma il dialogo resta tra sordi, con il governo che rimane immobile, preso in mezzo tra la sfida dei lavoratori dello spettacolo che bloccano i festival e il Medef (la Confindustria francese) che minaccia di far saltare tutto se non viene ratificato l’accordo.
La direzione della Sncf denuncia una perdita netta già di 80 milioni di euro a causa dello sciopero. Gli intermittenti fanno valere che la cultura è un elemento importante in Francia nella composizione del pil e che senza sussidi decenti il settore rischia il soffocamento. La ministra della cultura, Aurélie Filippetti, cerca di barcamenarsi, promettendo «concertazione», mentre Valls fa il duro. Ferrovieri e intermittenti, con rivendicazioni specifiche dissimili, manifestano un malessere più generale, la delusione verso la sinistra al governo, che già si è tradotta nella forte astensione delle europee, dove il Fronte nazionale è arrivato in testa.
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