Immunità, la mediazione in Senato «La Consulta valuterà i singoli casi»

Immunità, la mediazione in Senato «La Consulta valuterà i singoli casi»

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ROMA — «Il mio impegno era e rimane quello di portare in Aula la riforma del Senato entro il 3 luglio e, dunque, nessuno tra i vetero-malpancisti si illuda che la polemica sull’immunità finisca per bloccare il testo. Io conto di iniziare a votare in commissione già giovedì per essere pronti, magari anche ricorrendo alle sedute notturne, a consegnare la riforma all’assemblea secondo i tempi previsti».
Anna Finocchiaro, presidente della I commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, fa i conti con i 4.200 emendamenti che creano zavorra alla Riforma costituzionale del Senato — considerata dal governo Renzi come un biglietto da visita per il semestre italiano della Ue — e tira fuori dal cassetto la possibile soluzione per risolvere il rebus dell’immunità per i nuovi 100 senatori pescati tra le file dei consiglieri regionali e dei sindaci: «Insieme a Calderoli (il co-relatore, ndr ) presenteremo un nuovo emendamento che rinvia alla Corte costituzionale le decisioni riguardanti le immunità e le autorizzazioni, per tutti i parlamentari». L’emendamento Finocchiaro-Calderoli che modifica l’articolo 134 della Costituzione (istituendo una nuova sezione della Consulta composta da sei giudici che decideranno «in ordine alle autorizzazioni di cui agli articoli 68 e 96») era già stato presentato alla ministra Maria Elena Boschi (Riforme) ma il governo l’aveva scartato. E ora — che l’immunità rischia di far saltare l’intera riforma — il governo potrebbe riconsiderarlo come utile ruota di scorta: «Troveremo una soluzione ragionevole in Parlamento», annuncia il ministro Boschi.
In commissione, poi — mentre ufficialmente si espongono a favore dell’immunità solo il Ncd di Alfano e l’Udc di Casini — tutti i partiti hanno comunque presentato emendamenti per cancellare l’articolo 6 del testo base del governo che, a sua volta, abolisce solo per i nuovi senatori-regionali ciò che resta dell’immunità parlamentare dopo la riforma del ‘93. Sono favorevoli al mantenimento dello «status quo» (insindacabilità nell’esercizio delle funzioni, autorizzazione per arresto, perquisizioni e intercettazioni) il Pd (con un emendamento firmato da tutte le anime del partito, renziani compresi), Forza Italia (Romani, Bruno, Bernini, Zanettin, Caliendo), Sel (De Petris, Barozzino), Lega (Candiani, Arrigoni), Scelta Civica (Maran, Susta), Popolari (Mauro), i fuoriusciti dei Cinque Stelle (Orellana, Campanella) e, dulcis in fundo, anche i grillini ortodossi (Fattori, Bertorotta, Buccarella, Bottici, Donno). Anche se i senatori fedeli a Beppe Grillo non ci stanno a passare per doppiogiochisti e ricordano che il M5S ha presentato altri emendamenti per cancellare le autorizzazioni per l’arresto, le intercettazioni e le perquisizioni e salvare solo l’insindacabilità.
Un discorso a parte lo fa la minoranza del Pd guidata da Vannino Chiti che subordina il mantenimento dell’immunità alla conferma dell’eleggibilità . E visto che governo e relatori hanno imboccato la strada dei senatori eletti indirettamente (74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 scelti dal capo dello Stato), Chiti e i suoi hanno detto che «nelle condizioni date bisogna cancellare l’immunità per tutti i parlamentari». Una linea, questa, condivisa ora da Forza Italia che strizza l’occhio alla minoranza del Pd: «Vogliamo un Senato eletto direttamente dai cittadini, espressione della volontà popolare, e solo a tali condizioni, i principi costituzionali comportano l’immunità per i membri del Senato», avverte il capogruppo Paolo Romani. Dunque, il tema dell’immunità rischia di saldare inedite maggioranze favorevoli all’elezione diretta del Senato. Una tegola per il governo che, intanto, affronta il risentimento dei sindaci (Piero Fassino, presidente dell’Anci, ha chiesto un incontro a Renzi) offuscati dai consiglieri regionali.
Dino Martirano



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