Juan Carlos. Dalla transizione agli scandali
«Morirò con la corona in testa». Lo aveva detto tante volte Juan Carlos I de Borbón, il sovrano che «viveva il suo regno come un sacerdozio», come raccontano i suoi collaboratori. E invece, in curiosa coincidenza con la festa della Repubblica italiana, dopo 39 anni sul trono di Spagna, il primo re dell’epoca democratica, uno dei protagonisti della transizione e della storia contemporanea del paese, ha deciso di abdicare in favore del figlio Felipe.
La notizia è stata data ieri in mattinata dal presidente del governo Mariano Rajoy ed è stata poi annunciata personalmente dal monarca in un breve ma epocale messaggio trasmesso in tv alle 13. Come set, la consueta scrivania con l’immancabile bandiera di Spagna e lo scudo borbonico a vegliare su una piccola foto di famiglia con il principe Felipe accanto al padre, quasi a sottolineare il passaggio di consegne nel segno della continuità dinastica: «Mio figlio Felipe incarna la stabilità — ha dichiarato don Juan Carlos — Una nuova generazione reclama un ruolo da protagonista e vale la pena lasciarle la prima linea». Una decisione che — come ha egli stesso ha rivelato — aveva già preso lo scorso gennaio proprio in concomitanza con il suo settantaseiesimo compleanno e con il progressivo peggioramento delle sue condizioni fisiche. Pesano gli anni sulle gambe malferme di Juan Carlos, provato da una lunga serie di interventi all’anca e apparso in affanno, ricurvo sulle quasi onnipresenti stampelle, in molte delle ultime apparizioni. Ma pesa, anche e soprattutto, l’infilata di scandali che ha eroso il prestigio della casa reale (che fu massimo negli anni ‘90) e ha oscurato la figura del re, facendone precipitare il consenso ai minimi storici. Se nel 1995, gli spagnoli — secondo i sondaggi del Centro de Investgación Sociológica — assegnavano alla corona un voto di 7,5 su 10, oggi la bocciatura è clamorosa: un 3,7, sottolineato anche dalla numerosissime manifestazioni di ieri, che hanno idealmente raccolto il testimone del corteo che l’anno scorso sfilò per Madrid fino alle porte del palazzo reale al grido di «scacco al re».
Eppure — anche se non è esattamente un fulmine a ciel sereno — la notizia è di quelle capaci di cogliere di sorpresa un intero paese: tant’è che nemmeno la costituzione, pur contemplando la rinuncia del monarca, prevede una procedura legale per l’abdicazione. Si provvederà con la massima urgenza, per poter dare un volto nuovo a un’istituzione che negli ultimi anni ha vissuto un incubo. Il primo scivolone reale avvenne in Bostwana nel 2012, quando Juan Carlos I, andato a caccia di elefanti all’insaputa degli spagnoli e in compagnia dell’amante, si ruppe l’anca e fu costretto ad ammettere il costoso, elefanticida e fedifrago viaggio, che agli spagnoli, prostrati dalla crisi, fece l’effetto di uno schiaffo in faccia. Un altro scandalo scosse la monarchia quando vennero alla luce un’eredità nascosta al fisco e consulenze milionarie per lo Stato (quindi pagate dai contribuenti) affidate alla bionda amante tedesca Corinne Zu Sayn Wittgenstein. Comportamenti non esattamente legali (né regali), tanto più indigesti agli spagnoli travolti dai tagli e dall’austerità imposti dal governo e difesi dalla corona. Nulla, in ogni caso, in confronto al baratro dell’imperdonabile caso Nóos, anche questo esploso in piena crisi, nel 2010: un giro di tangenti e fondi e neri all’ombra dell’egida borbonica che ha travolto il genero del sovrano, Iñaki Urdangarin, e lo scorso febbraio ha fatto sedere, per la prima volta nella storia, un componente della casa reale — l’infanta Cristina, moglie di Urdangarin e secondogenita di Juan Carlos — sul banco degli imputati. Un colpo durissimo che ha ammaccato forse irreparabilmente lo scudo borbonico e ha seppellito il nome e i meriti storici della monarchia sotto una coltre di fango che ora toccherà a Felipe lavare via. Un compito davvero arduo, perché l’abdicazione del padre lascia nella mani del principe de Asturias (ormai Felipe VI) una Spagna più che mai scettica nei confronti dell’istituzione monarchica e ormai lontana dalle vicende della transizione su cui si fonda gran parte del prestigio accumulato (e dilapidato) dal monarca uscente. Fu Juan Carlos I, infatti, nonostante il giuramento di fedeltà alle leggi franchiste e ai principi del Movimiento Nacional, a promuovere e promulgare la Ley para la reforma política, vera a e propria pietra angolare del processo di transizione. Questa legge, che fu approvata nel 1976 dall’83% del parlamento e riscosse il 94% dei consensi una volta sottoposta a referendum, fu lo strumento giuridico su cui si basò lo smantellamento della dittatura e che portò alla stesura della costituzione. Anche nelle oscure vicende del tentato colpo di stato del 1981 don Juan Carlos ebbe un ruolo cruciale, negando l’appoggio ai militari golpisti e difendendo la costituzione in uno storico intervento televisivo che, a rivederlo, sembra fare un po’ da contrappunto al messaggio di abdicazione diffuso ieri.
Felipe — che porterà sul trono di Spagna la prima regina di clase media, divorziata ed ex giornalista — deve prendere il posto di un padre ingombrante, che ha fatto la storia del suo paese e ha riportato la Spagna sullo scenario internazionale dopo gli anni bui del franchismo, dimostrando doti diplomatiche che hanno brillato soprattutto nelle relazioni con i paesi dell’America latina.
Quarantasei anni, terzogenito di Juan Carlos I de Borbón e Sofía di Grecia, il principe delle Asturie non ha la Storia dalla sua parte ma «ha studiato» per anni e con profitto, da re. Gli vengono riconosciuti un alto senso istituzionale e la buona impressione in tutte le uscite ufficiali. Dalla sua parte c’è anche il dato anagrafico, che lo iscrive in una generazione ormai al di sopra delle divisioni del franchismo. Felipe dovrebbe ripensare la corona, logora per l’intrinseco anacronismo dell’istituzione e per gli eventi recenti. Trasparenza e sobrietà dovrebbero essere le parole d’ordine e Felipe VI lo sa bene: «Siamo un’istituzione pubblica il cui obiettivo è servire gli spagnoli», ha dichiarato in passato. Sembrerebbe un buon presupposto. La prima grande sfida riguarderà la gestione delle pressioni indipendentiste catalane, finora arginate dal centralismo garantito dalla figura di Juan Carlos I. Sarà una sfida importante che darà, sul medio termine, la misura dello spessore del nuovo re di Spagna.
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