L’urlo anti-mafia di Francesco «Mai più violenza sui bimbi»

by redazione | 22 Giugno 2014 9:09

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SIBARI (Cosenza) — «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono sco-mu-ni-ca-ti». Francesco aveva preparato un testo nel quale «per la fede nel Dio che è amore» esortava a «rinunciare a satana e a tutte le sue seduzioni», al «male in tutte le sue forme», agli «idoli del denaro, della vanita, dell’orgoglio e del potere». Poi ha scritto un’aggiunta all’ultimo: «La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune». Ma non era ancora abbastanza, e Francesco ha alzato lo sguardo verso le duecentocinquantamila persone sparse nella piana di Sibari, duemilasettecento anni di civiltà nel luogo dove sorgeva la più splendida e leggendaria delle colonie greche, fondata dagli Achei nell’ottavo secolo avanti Cristo, distrutta alla fine del sesto dalla Crotone di Pitagora e ricostruita da Pericle nel quinto con il nome di Turi, una meraviglia di agrumeti e peschi e ulivi tra i rilievi scabri del Pollino e l’azzurro dello Jonio, una terra «tanto bella» che non merita tutto questo. Così Francesco durante la messa, nell’omelia, ha proclamato a braccio una cosa che un Papa non aveva mai detto, fatto una cosa mai fatta: ha scomunicato i mafiosi, sillabando la parola. Non c’è bisogno di atti formali, è più di una scomunica automatica: il Papa afferma dall’altare che i mafiosi sono fuori dalla Chiesa, punto.
Le parole di Bergoglio vanno oltre l’anatema gridato da Wojtyla nella Valle dei Templi il 9 maggio 1993, «una volta, verrà il giudizio di Dio!», o l’invito ai giovani scandito da Benedetto XVI a Palermo, il 3 ottobre 2010, «non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte in-com-pa-ti-bi-le col Vangelo!». Francesco va pure al di là di ciò che lui stesso disse a marzo nell’incontro con don Luigi Ciotti e l’associazione Libera, l’invito «in ginocchio» a convertirsi «per non finire all’inferno: è quello che vi aspetta, se continuate su questa strada». La mattina, appena arrivato nella diocesi di Cassano allo Ionio, era andato nel carcere di Castrovillari dove è recluso il padre di Cocò Campolongo, il bimbo di tre anni ucciso a gennaio in un agguato e bruciato in auto assieme al nonno. Tra gli altri ha parlato col genitore e le due nonne, ha detto loro di riferire anche alla madre che «prego per lui continuamente: non disperate», e sospirato: «Mai più bimbi vittime di tali atrocità, mai più vittime della ‘ndrangheta». Poi la visita ai malati, l’incontro con i sacerdoti («Aiutate le famiglie, siate operai e non impiegati»), il pranzo nel seminario con i poveri della Caritas e i ragazzi della comunità terapeutica Saman fondata da Mauro Rostagno, la sosta di preghiera vicino al passaggio a livello dietro la parrocchia di San Giuseppe, il luogo dove a marzo fu ucciso a sprangate don Lazzaro Longobardi (tra i 140 detenuti nel carcere c’era anche Dudu Nelus, l’uomo accusato dell’omicidio, ma non si è fatto riconoscere dal Papa).
Alla messa pomeridiana a Sibari, i fedeli sono il doppio del previsto e restano in attesa per ore, il vento dal mare a mitigare il sole. Francesco non li delude, parla del Corpus Domini e dice «non abbiamo altro Dio all’infuori di questo!» fino a scandire: «Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione. Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le violenze di questo peccato». La ‘ndrangheta è «adorazione del male» e bisogna reagire: «Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no. La Chiesa, che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi, bisognosi di speranza».
La malavita «si nutre di coscienze addormentate e perciò conniventi» ma «qui c’è una Chiesa impegnata a risvegliarle», dice nel saluto al Papa il vescovo Nunzio Galantino che per la messa non ha voluto fondi pubblici e in prima fila ha fatto sedere malati e poveri, lasciando le autorità dietro. Prima delle elezioni aveva intimato ai preti di non appoggiare nessuno né accettare favori, «piuttosto lasciate che crollino le chiese». Ora sorride: «Si può pensare a contropartite e interessi personali. Il collateralismo si paga». La rivoluzione di Francesco è il ritorno all’essenziale. Il Papa che invita i fedeli a «porre al centro le necessita?dei poveri e degli ultimi» e i giovani a «opporsi al male, a ingiustizie e violenza con la forza del bene, del vero e del bello». Il Papa che si era congedato dagli «amici» detenuti così: «Pregate per me, perché anche io sbaglio, anche io ho bisogno di fare penitenza».
Gian Guido Vecchi

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