Non è come Tangentopoli, è peggio. A Venezia il «sistema» è lo Stato

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Non è come Tan­gen­to­poli, è peg­gio. Allora cor­ru­zione e con­cus­sione strin­ge­vano poli­tici, impren­di­tori e affa­ri­sti in un patto di reci­pro­che con­ve­nienze e ricatti. Qui, nel qua­dro rive­lato dalla sacro­santa e ben­ve­nuta inda­gine intorno al Mose, il sistema vede diret­ta­mente par­te­cipi anche impor­tanti pezzi dello stato. Fanno scal­pore i nomi più ecla­tanti: ex mini­stri, con­si­glieri e asses­sori regio­nali, il sin­daco. Ma ciò che dà i bri­vidi a chi cono­sce meglio come fun­ziona la pub­blica ammi­ni­stra­zione è ritro­vare a libro paga del «sistema» fun­zio­nari che dovreb­bero essere i garanti della liceità di pro­ce­dure e meccanismi.

Nell’ordinanza il Gip di Venezia scrive, a pro­po­sito dell’ex pre­si­dente della Regione Veneto Galan, dell’ex gene­rale della Guar­dia di Finanza Vin­cenzo Spa­ziante, dei diri­genti del Magi­strato alle Acque (che sovrin­tende a quasi ogni opera in laguna e dipende dal governo) Cuc­cio­letta e Piva, dell’assessore regio­nale alle infra­strut­ture Chisso: «Cia­scuno di essi, per anni e anni, ha asser­vito total­mente l’ufficio pub­blico che avrebbe dovuto tute­lare, agli inte­ressi del gruppo eco­no­mico cri­mi­nale, lucrando una serie impres­sio­nante di bene­fici per­so­nali di sva­riato genere». Diversa la posi­zione del sin­daco Orsoni, accu­sato di «ille­cito finan­zia­mento ai par­titi» per non aver dichia­rato una parte dei con­tri­buti elet­to­rali rice­vuti in occa­sione delle ammi­ni­stra­tive del 2010. Un reato grave ovvia­mente, se pro­vato, ma di altra natura, anche se a sua volta rivela la capa­cità di coin­vol­gi­mento dei sog­getti isti­tu­zio­nali locali nella pro­pria rete da parte del vero motore di tale «sistema» e cioè il Con­sor­zio Venezia Nuova.

Il Con­sor­zio, che rag­gruppa alcune fra le mag­giori imprese ita­liane e la cui crea­zione è stata favo­rita da ambienti poli­tici e impren­di­to­riali cru­ciali nella prima Repub­blica, avrebbe dovuto essere lo stru­mento per risol­vere il pro­blema della sal­va­guar­dia di Venezia dalle acque alte.

La que­stione, antica, rie­mersa dram­ma­ti­ca­mente dopo l’alluvione del novem­bre 1966, è stata fron­teg­giata dallo stato appro­vando un paio di leggi spe­ciali e, appunto, favo­rendo la costi­tu­zione del Con­sor­zio al quale, senza gara né interna né euro­pea, ha affi­dato diret­ta­mente la pro­get­ta­zione e la rea­liz­za­zione del Mose (opera infine scelta senza nes­sun vero con­fronto con pro­getti alter­na­tivi e altresì age­vo­lata dall’inserimento in Legge Obiet­tivo e oggi rea­liz­zata all’80 %). La con­ver­genza poli­tica attorno al Mose è stata tra­sver­sale, favo­rita anche dalla capa­cità per­sua­so­ria del Con­sor­zio, ric­chis­simo di mezzi per con­su­lenze, studi, uffici comu­ni­ca­zione. Quando ciò non bastava, secondo la magi­stra­tura, ci pen­sava il «sistema» oggi rive­lato nei det­ta­gli ma da tempo denun­ciato dagli oppo­si­tori (che oggi ne paven­tano il ripro­dursi sulla que­stione delle Grandi Navi, così come, nella regione, si è ripro­dotto in tutte le opere pub­bli­che più significative).

Que­sto di Venezia, esploso intorno a una delle più grandi e con­tro­verse opere pub­bli­che di sem­pre, è uno scan­dalo nazio­nale, per l’intreccio con cru­ciali poteri dello stato e per il livello delle con­ni­venze poli­ti­che e impren­di­to­riali, men­tre local­mente ha inqui­nato par­titi, isti­tu­zioni poli­ti­che, cul­tu­rali e scien­ti­fi­che, non­ché l’economia del territorio.

In un giorno di ama­rezza e indi­gna­zione, chi ha sem­pre com­bat­tuto quest’opera, nel merito e nel metodo, può almeno veder rico­no­sciuto il valore del pro­prio impe­gno, la verità della pro­pria pre­coce denun­cia (a volte costata pesanti que­rele e denun­cie), e fare di que­sta mag­giore con­sa­pe­vo­lezza pub­blica la base di par­tenza per un’altra città, per un altro paese.

* Asses­sore all’ambiente del comune di Venezia



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