Raid in Libia. Obama «avverte» i jihadisti

Raid in Libia. Obama «avverte» i jihadisti

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WASHINGTON — Un’operazione in Libia per dare un segnale a Bagdad. C’è anche questo nella cattura a Bengasi di Ahmed Abu Khattala, estremista accusato di essere coinvolto nell’assalto al consolato Usa nel settembre 2012. Un commando composto da unità speciali americane e agenti dell’Fbi ha fatto prigioniero il militante di Ansar al Sharia e lo ha trasferito all’estero. Forse su una nave — la «Batan» — che incrociava nel Mediterraneo o magari a Sigonella (Sicilia), prima tappa in un viaggio verso gli Usa.
Il nome di Abu Khattala era da tempo nella lista. Il Dipartimento della Giustizia lo aveva incriminato un anno fa per l’attacco al consolato, azione costata la vita all’ambasciatore Chris Stevens e a tre diplomatici. La Delta Force, il corpo d’elite antiterrore, aveva anche programmato un’incursione per portarlo via in concomitanza con la cattura di Abi Anas al Libi (Ottobre 2013). Il piano, però, era stato cancellato perché non c’erano le condizioni. Ma il progetto è rimasto e alla prima occasione gli americani lo hanno «beccato».
Abu Khattala, per quanto prudente, si era fatto notare per le interviste rilasciate in pubblico e gli atteggiamenti di sfida negando, tra molte contraddizioni, il suo coinvolgimento. Non sembrava preoccupato. Forse contava sulla prudenza statunitense l’atteggiamento delle autorità libiche, sempre reticenti ad agire contro gli islamisti. Ora, però, nel caos Libia si è materializzata la sfida del generale Haftar, protagonista della guerra contro i jihadisti. Un varco subito sfruttato dal Pentagono.
L’altro aspetto è il «tempo» del blitz. Barack Obama ha subito commentato: «E’ la prova che rispettiamo l’impegno di portare i responsabili davanti alla giustizia». Questo in un momento in cui altri diplomatici sono a rischio in Iraq. Il legame è indiretto ma esiste anche se i portavoce negano. Il presidente cerca di riprendere l’iniziativa dopo aver passato una settimana a inseguire i drammatici eventi iracheni con l’offensiva degli islamisti dell’Isis.
Anche su Bagdad, infatti, c’è molta attività militare. La Casa Bianca ha informato il Congresso sullo schieramento di 275 marines nella capitale irachena. La loro missione è difensiva: accrescere la difesa dell’ambasciata Usa. Altri 100 uomini sono in allarme in Kuwait che potrebbe servire come ponte in caso di evacuazione. Stessa situazione per 550 soldati sulla nave Mesa Verde nel Golfo. Ma a questa presenza potrebbe seguire l’invio di elementi delle forze speciali per aiutare l’esercito iracheno a parare la minaccia estremista. Consiglieri che potrebbero essere utili anche nel caso di raid aerei che molti giudicano imminenti: droni e caccia hanno bisogno di «guide» sul terreno che indichino i bersagli.
La manovra Usa si svolge in parallelo con quella degli iraniani che hanno mobilitato le loro milizie per sostenere i governativi iracheni. Interessante un particolare. Washington è stata informata in anticipo sull’arrivo a Bagdad del generale Qusair Soleimani, figura fondamentale nelle trame dei mullah quale responsabile dell’Armata Qods e regista dei gruppi sciiti. Altro segnale di collaborazione a distanza dopo il dialogo diretto a Vienna.
Guido Olimpio



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