Ucraina, sì all’accordo con la Ue Putin: attenti a spaccare il Paese

Ucraina, sì all’accordo con la Ue Putin: attenti a spaccare il Paese

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BRUXELLES — La ruota torna indietro, la sfida riparte, sale di nuovo la febbre in tutta l’Europa orientale. L’Ucraina ha firmato un accordo di associazione e libero scambio con la Ue, e anche Georgia e Moldavia hanno firmato altrettanti patti di cooperazione con Bruxelles: economicamente, politicamente, commercialmente, e soprattutto storicamente, un altro passo di allontanamento dalla Russia e di avvicinamento alla Ue. Cioè all’Occidente, alla Nato, agli Usa, secondo la visione del Cremlino. E «mettere a scegliere l’Ucraina fra la Ue e la Russia spaccherà l’Ucraina in due», predice cupamente Vladimir Putin.
Da patti simili a questi, è nata la miccia che mesi fa ha incendiato l’Ucraina. A novembre, la Ue aveva fatto la sua offerta, giudicata da alcuni un errore imperdonabile, una sfida irrazionale e prematura all’impero. La Russia aveva subito «suggerito» a Kiev, Chisinau e Tblisi di dire «no», e l’allora leader ucraino Viktor Yanukovich aveva obbedito con una capriola all’indietro. Oggi, cacciato Yanukovich, e con le truppe russe ancora alla frontiera ucraina, Kiev torna a correre sotto le ali europee e rilancia il suo «sì» a Bruxelles. La Nato si felicita, Bruxelles prevede già accordi ancora più profondi. Ma proprio questi furono i preludi dello scontro in Crimea, e nel Donbass. Si ritorna alla stessa situazione di allora. Si riprende a festeggiare in piazza Indipendenza a Kiev, ma con lo stesso senso di precarietà: all’Est, solo negli ultimi giorni, sarebbero morti 20 soldati ucraini.
Dal canto suo, la Ue ritrova la voce per una sorta di ultimatum al Cremlino: entro 3 giorni, dovrà dimostrare concretamente il disarmo dei separatisti russi, ritirare le truppe dal confine, iniziare negoziati seri. O saranno inasprite le sanzioni attuali. Da Mosca, reazioni irate ma nello stesso tempo guardinghe: Sergei Lavrov, ministro degli Esteri mai così comprensivo, dice che su tutto ciò si può discutere, purché però non si trasformi – appunto – in un ultimatum. Anche la protesta del vero e unico capo, Putin, è dura ma anch’essa meno ringhiosa del previsto. Chiede intanto il prolungamento della tregua fra i separatisti russi e l’esercito ucraino a Donetsk e dintorni: e la ottiene, la tregua durerà altri 72 ore. Putin auspica la pace. Poi annuncia che difenderà la comunità economica e commerciale formata da Russia, Kazakistan e Bielorussia. E avverte che Gazprom, il colosso monopolista dell’energia, taglierà le forniture di gas naturale e petrolio a quei Paesi che si azzardino a rifornire l’Ucraina con le proprie scorte.
Sabato ci sarà un vertice telefonico fra Putin, Angela Merkel, Francois Hollande, e il leader ucraino Petro Poroshenko. Gli ultimi tre chiederanno al primo, come già chiesto dai 28 leader riuniti nel Consiglio Europeo, di accettare controlli sul confine russo-ucraino affidati all’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa.
Ma quel confine è assai poroso; armi leggere e pesanti, lanciamissili, mortai, autoblindo, filtrano ogni giorno da villaggi dove si parla quasi esclusivamente russo e dove la guardia nazionale ucraina o quella confinaria hanno solo un controllo diurno, nominale. Poi, c’è la catena della dipendenza economica. E qui, la profezia di Putin («se si mette l’Ucraina a scegliere fra Russia e Ue, si spacca in due») ha una certa logica: un terzo del commercio estero di Kiev dipende dalla Ue, e un altro terzo dalla Russia. Un dilemma da Salomone, non da Putin, o da Poroshenko.
Luigi Offeddu



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