Venezia. La grande emergenza

Loading

Il cata­cli­sma giu­di­zia­rio che ha squas­sato Venezia e il Veneto non era ina­spet­tato per chi aveva cri­ti­cato il sistema Mose e il Con­sor­zio Venezia Nuova fin dal loro nascere. Ciò che da allora si cri­ti­cava era, da un lato, la scelta del sistema Mose, per la sua incom­pa­ti­bi­lità con la natura stessa della Laguna di Venezia e con il suo deli­ca­tis­simo equi­li­brio eco­lo­gico, dall’altro la scelta della con­ces­sione a un unico sog­getto pri­vato, il Con­sor­zio Vene­zia Nuova, del com­pito di stu­diare, spe­ri­men­tare ed ese­guire l’insieme degli inter­venti previsti.

Nes­suno imma­gi­nava l’enormità della cor­ru­zione che l’attuazione di quel pro­getto e l’istituzione di quel sog­getto avreb­bero pro­vo­cato. Per com­pren­dere lo stato delle cose, cioè la dimen­sione del danno subito e i rischi che si pro­fi­lano, occorre distin­guere i tre aspetti fon­da­men­tali della situa­zione sve­lata dall’indagine della pro­cura veneziana.

Cor­ru­zione

Il primo aspetto è quello della cor­ru­zione. I risul­tati dell’indagine sono dav­vero stra­bi­lianti. Le somme di denaro distratte ille­git­ti­ma­mente per essere impie­gate nelle varie forme, legit­time e ille­git­time, è stu­pe­fa­cente. La per­va­si­vità della cor­ru­zione è un segnale pre­oc­cu­pante sull’ampiezza sociale del morbo: sem­bra che in Ita­lia cor­rom­pere o essere cor­rotti sia la regola, e l’essere one­sti l’eccezione. Da decenni per molti adem­piere a un dovere d’ufficio non è un obbligo ma un pia­cere, che deve essere ricam­biato. Nell’ultimo tren­ten­nio quel «vizietto» ori­gi­na­rio è cre­sciuto in modo abnorme, quasi come effetto col­la­te­rale della cre­scita della società opu­lenta e del disfa­ci­mento delle ideo­lo­gie (cioè della capa­cità di cre­dere in un pro­getto di società da costruire con gli altri). L’indagine giu­di­zia­ria Mani pulite svelò l’inferno in cui l’Italia era pre­ci­pi­tata e con­dusse alla crisi di quella poli­tica che aveva pro­mosso e ali­men­tato Tangentopoli.

Ma non riu­scì a mani­fe­starsi, con­tro la vec­chia cat­tiva poli­tica, una nuova buona poli­tica. Poche novità posi­tive furono intro­dotte per ripa­rare i danni. Fra le poche, la buona legge Mer­loni per gli appalti delle opere pub­bli­che fu subito annac­quata e, poco a poco, inte­ra­mente rimossa. Il primo impe­gno che dun­que si pone è, a livello nazio­nale, quello di restau­rarla. Ma quale legi­sla­tore ha la forza, la com­pe­tenza e la volontà di farlo? E quale isti­tu­zione a livello sub­na­zio­nale com­pirà il primo passo neces­sa­rio, for­te­mente indi­ziati di «com­pli­cità col nemico», a par­tire dal sin­daco di Venezia?

Grandi opere

Il secondo aspetto è quello delle Grandi opere. Molti dicono oggi: le grandi opere sono neces­sa­rie, non si può rinun­ciare a farle; non è la gran­dezza dell’opera che la rende neces­sa­ria­mente fonte di cor­ru­zioni. Quindi, avanti con le grandi opere limi­tan­doci a col­pire solo quelli che Benito Craxi chia­mava «marioli». È un atteg­gia­mento che si sta rive­lando pre­po­ten­te­mente anche adesso.

Biso­gna uscire dalle affer­ma­zioni gene­ri­che ed esa­mi­nare i casi con­creti. Se si farà così si sco­prirà subito che c’è un nesso pro­fondo tra cor­ru­zione e grandi opere. Più grande e costosa è un’opera, più è com­plessa, più è neces­sa­rio l’asservimento del deci­sore for­male (il par­tito, l’istituzione) agli inte­ressi dell’«impresa»: è neces­sa­rio ungere rotas, distri­buire tan­genti reali (moneta) o vir­tuali (assun­zione di amici e parenti, viaggi e altri sol­lazzi). Più l’opera cre­sce, più risorse ci sono per ungere le ruote. I due inte­ressi del donato e del dona­tore s’incontrano: più l’opera è grande più cic­cia c’è per i gatti.

Lo stru­mento che più spesso viene ado­pe­rato per ren­dere Grandi le opere è l’emergenza. Già lo si vide ai tempi di Tan­gen­to­poli. L’alibi siste­ma­tico è la rigi­dità del sistema delle garan­zie, la con­se­guente lun­gag­gine delle pro­ce­dure, la sovrab­bon­danza di con­trolli. Invece di met­ter mano a una seria riforma delle pro­ce­dure, e dei con­se­guenti appa­rati tec­nici e ammi­ni­stra­tivi che devono gestirle, si inven­tano le dro­ghe per sca­val­care i con­trolli. Anzi­ché rifor­mare lo Stato, che si è pro­ce­duto astu­ta­mente a imba­star­dire, se ne pra­tica lo sman­tel­la­mento: «via lacci e lac­cioli», «meno Stato e più mer­cato», «pri­vato è bello». Slo­gan che sono stati vin­centi anche a sini­stra. In que­sta logica l’effettiva uti­lità dell’opera non conta nulla, né con­tano i suoi «danni col­la­te­rali», e nep­pure la sua prio­rità. L’unica uti­lità è la dimen­sione dell’opera e la sua pos­si­bi­lità di giu­sti­fi­care l’impiego di pro­ce­dure ecce­zio­nali, dotate di due requi­siti: l’opacità e la discrezionalità.

Una mora­to­ria di tutte le Grandi opere in corso di ese­cu­zione o deci­sione e un attento esame, sono le deci­sioni che in un paese civile dovreb­bero esser prese. Ma l’Italia è un paese serio? Da decenni le cas­san­dre dicono di no; e Cas­san­dra, come è noto, ci azzec­cava sempre.

L’oligarchia

Il terzo aspetto rile­vante sul quale lo scan­dalo vene­ziano offre utili ele­menti di ana­lisi e valu­ta­zione, che sarebbe neces­sa­rio appro­fon­dire per ten­tar di cor­reg­gere le stor­ture che ha reso evi­denti, è il sistema di potere che ha sve­lato. L’indagine non è ancora con­clusa e si spera che vada fino in fondo. Ma già da quanto ha sve­lato appare chiaro che le deci­sioni sugli inter­venti che tra­sfor­mano il ter­ri­to­rio non erano assunte dai poteri isti­tu­zio­nali, che avreb­bero dovuto espri­mere l’interesse gene­rale, ma da un gruppo di aziende pri­vate: aziende che, avendo abban­do­nato ogni spi­rito «impren­di­to­riale», ave­vano sosti­tuito al «libero mer­cato» una spie­tata oligarchia.

L’indagine aperta dai magi­strati vene­ziani illu­mina però una parte sol­tanto del gruppo di potere politico-economico che domina lo sce­na­rio veneto. E sarebbe dif­fi­cile com­pren­dere l’egemonia che il Con­sor­zio Vene­zia Nuova ha con­qui­stato nell’opinione pub­blica vene­ziana e veneta, nazio­nale e inter­na­zio­nale senza inda­gare nella trama dei rap­porti tra il mondo delle atti­vità immo­bi­liari, quello delle ban­che e rela­tive fon­da­zioni, quello dei mass media e quello della cul­tura e dell’università. Per costruire una mappa pre­cisa del potere a Vene­zia e nel Veneto non sarebbe però giu­sto affi­darsi solo al lavoro della magi­stra­tura, la cui respon­sa­bi­lità si arre­sta al limite trac­ciato dalle azioni con­tra­rie alla legge. Non sono solo le truffe e la cor­ru­zione diretta le uni­che armi di cui dispon­gono i poteri eco­no­mici per con­qui­stare il consenso.

Per avviare il risa­na­mento occor­rono scelte corag­giose. La prima è quella di met­tere ai mar­gini dei pro­cessi deci­sio­nali gli attori che hanno dato luogo al nuovo per­verso sistema di potere. La respon­sa­bi­lità della poli­tica e quella delle per­sone e delle isti­tu­zioni che hanno par­te­ci­pato a quel sistema di potere sono gra­vis­sime. Non col­pirle seve­ra­mente con atti poli­tici con­tri­bui­rebbe ad accre­scere il bara­tro che già separa i cit­ta­dini dalla democrazia.


Tags assigned to this article:
corruzioneGrandi OpereMoseVenezia

Related Articles

Segnali dal paese

Loading

Per capire se sarà  raggiunto il quorum bisognerà  aspettare qualche ora. Ma per la prima volta dopo sedici anni, l’istituto referendario ha dato un segnale di vitalità  non scontato. Disubbidendo a Silvio Berlusconi e a Umberto Bossi che suggerivano l’astensione, un numero rilevante, sebbene non ancora decisivo, di italiane e di italiani è andato alle urne.

No Tap. In Puglia prosegue la lotta, tra arresti e fogli di via

Loading

Il Gasdotto della Discordia. Sabato 52 fermi, continua la lotta tra Emiliano e il governo

Il Vaticano «potenzialmente vulnerabile» al riciclaggio

Loading

Gli Usa hanno inserito il Vaticano nella lista degli Stati «potenzialmente vulnerabili» al riciclaggio di denaro della criminalità .

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment