Bombardata Gaza migliaia in fuga L’Onu chiede la tregua

Bombardata Gaza migliaia in fuga L’Onu chiede la tregua

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GERUSALEMME. HANNO raccolto tutta una vita in pochi minuti, svegliato i figli che dormivano sulle brandine, zucchero e biscotti nelle buste di plastica insieme alle medicine, quattro magliette per i bambini in una sacca sformata, i documenti e le tessere alimentari delle Nazioni Unite nella borsa.
Non si fermano i raid israeliani sulla Striscia, non si fermano i razzi sparati anche ieri senza risparmio dagli artiglieri islamici contro Israele. Al suo sesto giorno l’Operazione “Protective Edge” è entrata in una nuova fase, i commandos israeliani hanno per la prima volta colpito dentro il territorio di Gaza all’alba di ieri distruggendo una rampa di lancio, i missili di Hamas hanno segnato un nuovo record di lancio superando i 160 chilometri di raggio: le sirene di allarme hanno risuonato ieri anche nelle città del nord. Batterie “Iron Dome” in funzione a Tel Aviv, allarme missili all’aeroporto Ben Gurion, a Gerusalemme nel pomeriggio. Cresce di ora in ora il numero delle vittime a Gaza, erano 166 ieri sera — 130 civili uccisi, tra loro 36 bambini e 26 donne — mentre i feriti sono oltre 1200. In Israele, nonostante da Gaza in sei giorni siano stati lanciati 700 missili, non si contano vittime ma decine di feriti, e tanti casi di persone sotto shock.
Da Beit Lahiya e Beit Hanun, le due cittadine quasi sul confine della Striscia da dove secondo l’esercito israeliano sono stati lanciati centinaia di missili, ieri mattina è iniziato un esodo di centomila palestinesi. Con volantini, telefonate e avvisi radio la popolazione palestinese è stata invitata da Israele ad abbandonare la zona entro mezzogiorno, ora dopo la quale sarebbero iniziati bombardamenti a tappeto per distruggere le rampe nascoste — secondo l’intelligence israeliana — fra le case dai miliziani di Hamas e della Jihad Islamica. «Non è una guerra psicologica», dicevano gli annunci d’Israele ai palestinesi, «è un fatto vero: abbandonate le case o pagherete le conseguenze di un serio bombardamento ». Mentre Hamas invitava tutti i palestinesi a «non cedere alle minacce israeliane» in migliaia hanno abbandonato le cittadine per rifugiarsi nelle scuole dell’Unrwa, aperte per accogliere questa improvvisa ondata di sfollati.
Per la prima volta in questa crisi sono entrati in azione i navy seals israeliani, la Shayetet 13, uno dei corpi speciali della Difesa. I commandos della Marina, già usati in azione a Gaza nel 2009 e nel 2012, sono sbarcati poco prima dell’alba a Sudanya, nel nord della Striscia. La loro missione distruggere una rampa di lancio per missili “modificati” da Hamas che vengono sparati contro le città più distanti dalla Striscia. I commandos hanno incontrato sulla loro strada un gruppo di miliziani con i quali hanno ingaggiato una sparatoria. Quattro seals sono stati feriti, tre miliziani sono stati uccisi.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu insiste sulla linea dura e non sembra disponibile a un cessate-il-fuoco con Hamas. «L’operazione potrà richiedere tempi lunghi. Continueremo ad operare con forza in modo da riportare la quiete e la tranquillità per Israele». Ma per ora il premier non sembra dell’idea di ordinare l’offensiva di terra. Il presidente palestinese Abu Mazen ha inviato una lettera all’Onu per chiedere che «lo Stato di Palestina sia messo sotto il sistema internazionale di protezione delle Nazioni Unite». Gli Usa si sono offerti di mediare, l’Unione europea sta per mandare due dei suoi ministri degli Esteri — il tedesco Frank-Walter Steinmeier e l’italiana Federica Mogherini — ma per ora non si vedono margini di manovra. Perché nessuno può assicurare che Hamas rispetti poi l’accordo.



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