Case per i senzatetto negli ex locali di Alitalia: dall’ occupazione a una nuova legge

by redazione | 25 Luglio 2014 15:27

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MILANO – Dall’ occupazione, a una legge di iniziativa popolare per ripensare l’utilizzo degli stabili abbandonati delle città. È la sfida, da qui a un anno, che aspetta il gruppo “Aldo dice 26 x1”, un comitato formato da Clochard alla riscossa, Comitato Diritto alla Casa e Unione Inquilini di Milano che dal 29 marzo abita stabilmente all’interno di un edificio fino a 5 anni fa di proprietà di Alitalia e di Alitalia Servizi. 4.500 metri quadrati suddivisi in sette piani, in via XXIV maggio a Sesto San Giovanni. Da questi spazi gli occupanti hanno ricavato 52 appartamenti per famiglie che rischiano di finire in strada dopo gli sfratti. Per tre volte lo stabile è stato messo a bando, ma le gare non l’hanno mai assegnato. Il valore complessivo è valutato in 12,3 milioni di euro.

Dal fallimento della compagnia di bandiera lo stabile, sede di uffici e call center, è vuoto. Solo un gruppo di ladri di rame ci è entrato il 28 marzo: “Per questo abbiamo anticipato i tempi, per evitare che si portassero via tutto”, spiega Wainer Molteni di Clochard alla riscossa, il sindacato dei senza dimora. Da quel momento sono passati quasi quattro mesi. L’obiettivo è rendere realtà il sogno di un “residence sociale” autogestito, una risposta immediata all’emergenza abitativa. “Siamo la prova concreta che si può fare: la nostra è una realtà politicamente scomoda”, prosegue Molteni.

Tra le sostenitrici degli occupanti di “Aldo dice 26×1” c’è la deputata del Movimento 5 stelle Eleonora Bechis: “Hanno un progetto che ha delle enormi potenzialità. Tra un anno numeri alla mano vedremo se è sostenibile e proporremo una legge di iniziativa popolare sugli spazi abbandonati”, dice. “Noi siamo più che disposti a parlare per poter legalizzare questo residence”, insiste Molteni. “Questa volta, forse, la politica l’ha capito”.

“Aldo dice 26×1” prende il nome dal messaggio in codice con cui ha avuto inizio la Resistenza. Quasi quattro mesi dopo l’inizio dell’esperienza, il residence sociale conta 75 ospiti e tre bambini nati negli uffici trasformati in appartamenti per single o per famiglie. Tutti gli ospiti hanno un posto in graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, ma ancora, dopo lo sfratto, non hanno ottenuto l’assegnazione, “nonostante sia un loro diritto il passaggio da casa a casa”, spiegano dal residence sociale. “Caritas e consiglio di zona 9 hanno mandato in questo spazio due famiglie di sfrattati: “È il segno che ci riconoscono, anche se non lo dicono pubblicamente”, aggiunge Laura Boi, del sindacato Unione Inquilini, una che s’è appassionata alla causa tanto da aver scelto di dormire allo stabile ex Alitalia.

Nei bagni per disabili, gli occupanti hanno ricavato dei bagni con docce per tutti, mentre al secondo piano hanno portato le bombole e costruito una cucina. “Ci sosteniamo con l’autofinanziamento”, prosegue Wainer. Al piano terra del civico 6 c’è un mercatino dell’usato dove amici e associazioni hanno portato vestiti, mobilia, materassi. Tutto in vendita a offerta libera. Sul lato rivolto a piazza don Enrico Mapelli si entra alla trattoria popolare, un posto dove per 5 euro si dà un pasto completo agli avventori. Nello stabile ci sono famiglie indiane, egiziane, pakistane, senegalesi e di altre nazionalità: “Da tutti i Paesi e da tutte le religioni”, commenta Laura Boi. Ognuno di loro paga 10 euro di “spese condominiali”: servono per le pulizie, per i lavori di ristrutturazione, per le bombole del gas. In attesa, sperano quelli di “Aldo 26×1”, di avere un allaccio ufficiale a luce e gas.I piani superiori dello stabile, i più spaziosi, sono stati palcoscenici di concerti, di maxischermi per vedere le partite dei mondiali, di tornei ai videogiochi. “Qui cerchiamo di ridare dignità e una vita normale”, aggiunge Molteni. La sfida alle comunità di accoglienza e ai dormitori lanciata da “Aldo dice 26×1” è solo all’inizio. (lb)

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