Europa, arriva il giorno di Juncker Primo scoglio il caso Mogherini

Europa, arriva il giorno di Juncker Primo scoglio il caso Mogherini

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BRUXELLES — Primo burrone da saltare: la composizione della squadra, e quel centroavanti contestato da alcuni giocatori e da una parte del pubblico. Se Jean-Claude Juncker verrà oggi eletto alla testa della Commissione Europea, dovrà subito affrontare il caso Mogherini, che poi riguarda la presidenza italiana dell’Unione e alla fine l’intera Ue: Federica Mogherini, sostenuta dal premier italiano Matteo Renzi, è o era la candidata più quotata al posto di «ministro degli esteri» dell’Ue, poi è giunta l’insurrezione dei Paesi baltici e della Polonia (nazione vicinissima agli Usa), che le rimproverano i suoi «sì» a Vladimir Putin sul gasdotto South Stream. E la sua non lunghissima esperienza negli affari esteri. E’ difficile che Renzi accetti questa sorta di mezzo «veto» da Est, è difficile che quelli dell’Est accettino un’imposizione diretta (anche se non avrebbero i numeri per formare una minoranza di blocco). Juncker, però, è mediatore di antico pelo: forse, dicono fonti di Bruxelles, ricorderà gentilmente sia a Renzi che alla sua candidata come nella stessa Commissione esistano ancora altri posti disponibili, o li coinvolgerà comunque in un negoziato su più tavoli.
L’agenda di Juncker, o di chi siederà al suo posto, è spessa e pesante. L’Europa è nell’ennesima fase di passaggio, la crescita arranca, la crisi non è dimenticata. Ma il secondo burrone da saltare è ancora ad Est, ed è collegato indirettamente al caso Mogherini: i rapporti fra Bruxelles e Mosca, quel gasdotto South Stream che secondo polacchi e baltici serve a isolare l’Ucraina e strangolare mezza Europa. I lavori sono bloccati o quasi in Bulgaria, per volontà della Ue, la presidenza italiana della Ue sembra dell’idea contraria. Juncker si troverà in mezzo, ma sa anche bene che è tanto difficile convivere con Putin, quanto impossibile vivere senza di lui, o almeno vivere in sicurezza. Anche in questo caso, dovrà sforare quanto appreso in qualche decennio di mediazioni.
Subito dopo, nell’agenda 2014 di Bruxelles, si spalanca lo scontro sulle nuove regole della flessibilità nel calcolo dei deficit, aperto fra Italia e Francia da un lato, e Germania, Olanda, Finlandia e Austria dall’altro. Juncker, candidato presentato e corazzato da Angela Merkel, nonché ex-presidente di un Eurogruppo severo custode dell’austerità, sa che difficilmente la cancelliera andrà oltre certe sorridenti rassicurazioni di facciata: «Nel Patto di stabilità ci sono già i margini per una certa flessibilità…». Sulla sponda opposta c’è però una faccia nuova, un premier giovane e forte del maggior bottino di voti in Europa, che sembra voler tenere botta a Berlino: fra Renzi e Angela Merkel, sarà proprio la Commissione a dover trovare un terreno di incontro.
Poi, c’è Mario Draghi. In autunno, probabilmente, dovrà lanciare con la sua Banca centrale europea nuove «misure speciali», espansive, acquisti di titoli di alcuni Paesi più deboli, Italia compresa, e anche qui la cancelliera non si mostra entusiasta. Ancora una volta, la Commissione non potrà starsene ai bordi del campo, dovrà tentare un arbitraggio (e riuscire a non arrossire per quel 4,3% di deficit in rapporto al Pil, che viene tuttora concesso alla Francia).
Un’altra «montagna» da scalare si chiama David Cameron. Toccherà a Juncker, o a chi per lui, ricucire quanto prima possibile lo strappo fra Ue e Gran Bretagna. Tenendo presente un meccanismo bizzarro: più Cameron è in difficoltà all’interno (referendum scozzese sull’indipendenza, o britannico sull’uscita dalla Ue) meno ha bisogno di quadretti idillici sul versante europeo, poiché paventa che gli costino altri voti, a beneficio degli anti-europeisti. Ma anche lui, non può permettersi di fare il Machiavelli sul Tamigi: neanche l’isola britannica vivrebbe felice senza l’Europa. E questo, probabilmente, Juncker può spiegarglielo meglio di chiunque altro.
Nelle ultime pagine dell’agenda — ma non l’ultima, perché è pur sempre un tema pesantissimo — c’è poi una cifra che è quasi uno squittio: Ttip, «Transatlantic and trade investment partnership», o trattato di libero scambio fra Ue e Usa: 840 milioni di persone coinvolte sulle due sponde dell’Atlantico, il più rilevante accordo internazionale mai siglato dall’Ue, che a sua volta è la più grande potenza economica del mondo e il primo partner commerciale per 80 diversi Paesi del globo (solo 20, o poco più, quelli che affidano ogni loro esportazione o importazione agli Usa). Il Ttip va avanti da un anno, si propone di armonizzare le norme Ue-Usa sul commercio, la manifattura e l’energia, l’agricoltura e la sicurezza alimentare, la finanza, i servizi, gli appalti pubblici, la sanità, la proprietà intellettuale. La Commissione ha un ampio mandato a negoziare. II sesto round di trattative è iniziato proprio ieri e si concluderà venerdì, poi ci si rivedrà in autunno. E quello sarà un altro esame per Juncker.
Luigi Offeddu



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