Gaza, è già strage

Gaza, è già strage

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Hanno lo sguardo fisso quelli che assi­stono alle ope­ra­zioni di soc­corso tra le rovine della casa distrutta. Bam­bini silen­ziosi incro­ciano le brac­cia e osser­vano i parenti delle vit­time in lacrime. E’ la zona di Jorat al Lout, alla peri­fe­ria di Khan Yunis, la seconda città della Stri­scia. In que­ste strade vivono i Kaware, una fami­glia che ha dato molti uomini ad Hamas. Ma in que­ste case di mat­toni bol­lenti d’estate e gelidi d’inverno non vivono solo mili­tanti del movi­mento isla­mico. Ci sono donne, bam­bini, anziani, mano­vali, inse­gnanti, casa­lin­ghe, stu­denti. Per­sone inno­centi che sono salite sul tetto dell’abitazione non per fare da scudi umani a Odeh Kaware, padrone di casa ed espo­nente di Hamas, ma per pro­teg­gere i vicini di casa minac­ciati dai bom­bar­da­menti. Ismail al Farra per for­tuna non era lì in alto quando è arri­vato il mis­sile sgan­ciato dal jet israe­liano. «Al momento dell’esplosione — rac­conta al Farra — ero con mio cugino a qual­che decina di metri di distanza dall’edificio. Discu­te­vamo dell’avvertimento arri­vato da Israele. Ci face­vamo corag­gio a vicenda, cre­de­vamo che con tutta quella gente sul tetto e intorno alla casa dei Kaware, gli israe­liani non avreb­bero bom­bar­dato. All’improvviso c’è stata una esplo­sione e la zona si è riem­pita di fumo e pol­vere. Ho temuto di soffocare».

Per Abdal­lah Kaware, Moham­mad Ashour (13 anni) Riyadh Kaware, Mah­moud Judeh, Bakir Judeh, Ammar Judeh e Hus­sein Kaware (14 anni), la morte è stata istan­ta­nea o è giunta durante il tra­sporto all’ospedale. Troppo gravi le ferite pro­vo­cate dall’esplosione. Il ber­sa­glio dichia­rato del bom­bar­da­mento, Odeh Kawara, però non era a casa. Sapeva di essere un obiet­tivo e si è allon­ta­nato. L’aviazione israe­liana ha ugual­mente col­pito la sua abi­ta­zione. Così come non erano a casa altri “ber­sa­gli” scelti per que­sta nuova offen­siva mili­tare, bat­tez­zata “Mar­gine Pro­tet­tivo”. La “pro­ce­dura” in que­ste ore è un pò così. Arriva una tele­fo­nata e una voce metal­lica ripete più volte: «allon­ta­na­tevi subito, la casa sta per essere distrutta dalle nostre forze armate». A prima vista può appa­rire una solu­zione giu­sta per evi­tare mas­sa­cri. Ma i civili pale­sti­nesi non ci stanno. Per loro è un abuso, una vio­lenza, è la distru­zione ingiu­sti­fi­cata della casa di amici e vicini. In rete qual­cuno scrive che Hamas non dovrebbe con­sen­tire alla popo­la­zione di fare da scudo umano alle case che Israele si pre­para a col­pire. Anzi dovrebbe farla allon­ta­nare dai ber­sa­gli indi­cati. «E’ un ragio­na­mento che si scon­tra con la legge uma­ni­ta­ria e la Con­ven­zione di Gine­vra – spiega Kha­lil Sha­hin, vice diret­tore del Cen­tro Pale­sti­nese per i Diritti Umani – un eser­cito non può in nes­sun caso com­piere ope­ra­zioni nelle quali potreb­bero rima­nere uccisi o feriti dei civili. Se la gente non vuole scen­dere dai tetti delle case, Israele non può attac­care, in nes­sun caso, anche se aveva lan­ciato un avver­ti­mento o una esor­ta­zione ad allon­ta­narsi. I civili per le leggi inter­na­zio­nali godono della mas­sima pro­te­zione nelle aree di con­flitto». Per il por­ta­voce mili­tare israe­liano invece si è svolto tutto nel rispetto delle regole, sono state rispet­tate le pro­ce­dure, la popo­la­zione era stata “avvi­sata”. Insomma per le forze armate israe­liane è stato giu­sto cor­retto quel mis­sile e la respon­sa­bi­lità dell’accaduto è solo dei palestinesi.

Dopo è stato un coro di pro­te­ste, non solo arabe. Il mini­stero degli esteri pale­sti­nese da Ramal­lah ha comu­ni­cato la sua «Con­danna della con­ti­nua aggres­sione israe­liana sulla Stri­scia di Gaza che ha cau­sato l’uccisione ed il feri­mento di diverse per­sone, oltre alla distru­zione di decine di abi­ta­zioni ed una situa­zione di ter­rore». Punta l’indice con­tro il «con­ti­nuo ed ingiu­sto asse­dio israe­liano su Gaza che l’ha tra­sfor­mata in una grande pri­gione» e «chiede alla comu­nità inter­na­zio­nale di pren­dere posi­zione con­tro que­sta pre­pa­rata aggres­sione e di agire subito per met­tere fine a que­sta esca­la­tion». Il pre­si­dente Abu Mazen ha chie­sto la fine dell’attacco israe­liano, che, dice, tra­sci­nerà la regione in un bara­tro. Ma la verità è che la gente di Gaza è di nuovo sola, abban­do­nata, vit­tima di un enne­simo pesante attacco israe­liano. Il pre­mier Neta­nyahu spiega che sono finiti i “riguardi” di Israele nei con­fronti di Hamas. «Ci siamo tolti i guanti» ha ripe­tuto in que­ste ultime ore rife­ren­dosi ai gruppi armati che lan­ciano i razzi verso Israele. Il conto più salato in vite umane però lo pagano i civili, sog­getti ad attac­chi descritti come “chi­rur­gici” e che in realtà coin­vol­gono tante per­sone inno­centi. Ciò è stato dimo­strato in tutte le offen­sive che Israele ha sca­te­nato negli ultimi anni, dai nomi roman­tici e sug­ge­stivi eppure deva­stanti e san­gui­nose: Piog­gia d’estate (giu­gno 2006), Nuvole d’autunno (novem­bre 2006), Inverno caldo (feb­braio 2008), Piombo fuso (dicem­bre 2008), Colonna di nuvola (novem­bre 2012) e ora Mar­gine pro­tet­tivo. Offen­sive che non hanno mai cam­biato nulla sul ter­reno così come i lanci di razzi di Hamas e di altri gruppi non modi­fi­cano di un mil­li­me­tro la con­di­zione di una popo­la­zione pale­sti­nese che da troppi anni vive sotto asse­dio israe­liano ed egiziano.

Neta­nyahu, dopo il ritro­va­mento dei corpi dei tre ragazzi ebrei uccisi in Cisgior­da­nia, ha voluto rimar­care quella che ai suoi occhi è una dif­fe­renza fon­da­men­tale tra israe­liani e pale­sti­nesi. I primi, ha detto, amano la vita, i secondi la morte. No, non è affatto così. I pale­sti­nesi, anche quelli di Gaza, amano la vita ma non rie­scono a viverla per­chè sono pri­gio­nieri, tenuti sotto pres­sione, senza pos­si­bi­lità di movi­mento, di uscire e tor­nare nella loro terra. Per ren­der­sene conto è suf­fi­ciente girare per la strade di Gaza pro­prio in que­ste ore. Tanti pro­vano a svol­gere le nor­mali atti­vità quo­ti­diane, vanno al lavoro come se fos­sero giorni qual­siasi, i negozi sono aperti. É un inno alla vita che vor­reb­bero avere, alla vita che non rie­scono a cono­scere. Quasi due milioni di pale­sti­nesi, che non hanno alcuna colpa, che non sono mili­ziani armati ma per­sone qual­siasi, sono puniti collettivamente.

Scende la sera. Gaza si pre­para ad una notte che si annun­cia insonne per i mis­sili e le bombe che, tutti pre­ve­dono, sgan­ce­ranno gli aerei e gli eli­cot­teri israe­liani. Molte fami­glie pian­gono i 16 morti, tra i quali diversi ado­le­scenti, rima­sti sotto le mace­rie di case ed edi­fici col­piti. Al mat­tino Israele ha cen­trato, pare con un drone, l’automobile sulla quale si tro­vava Moham­med Sha­ban, un coman­dante di Ezze­din al Qas­sam, il brac­cio armato di Hamas. Su quella mac­china non tutti erano com­bat­tenti. Alla guida c’era uno dei tanti taxi­sti improv­vis­sati di cui è piena Gaza, “col­pe­vole” di aver preso a bordo Sha­ban e i suoi uomini. E’ stato un mar­tel­la­mento inces­sante, andato avanti tutto il giorno, quello che ha subito Gaza. Il silen­zio pome­ri­diano del mese di Rama­dan è stato rotto da vio­lente esplo­sioni a Gaza city, come a Khan Yunis, Rafah, Beit Hanun. Bombe e mis­sili che spac­cano i vetri e fanno oscil­lare i palazzi più alti vicini ai ber­sa­gli col­piti. Per i bam­bini è una tortura.



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